[Fan Fiction] Season : Inverno

Silenzio: solo questo intorno a lei.
Persino le fiamme delle torce che gettavano una luce soffusa nella stanza circolare sembravano aver perso il loro tipico scoppiettare allegro, quasi come intimorite dalla sacralità di quel luogo.
Strinse di più le mani, concentrandosi sulla preghiera.
Qualche minuto dopo tuttavia, si ritrovò di nuovo a pensare: l’avviso della morte del padre, anni fa, l’aveva prepara a quello che sarebbe stato il suo destino. O almeno questo aveva pensato prima di entrare decisa nel Tempio.
Ma ora, inginocchiata, mani giunte, la testa china, gli occhi chiusi e il corpo giovane fasciato dalla sua veste ufficiale da invocatrice, aveva iniziato a pensare.
Molto pericoloso: lei non doveva farlo. Doveva pregare.

Prega, solo questo. Devi diventare un’invocatrice.

Quante volte si era sentita ripetere quella frase? Quante volte glie l’avrebbero ripetuta ancora? Molte. Troppe.
Sapeva a cosa andava incontro: la sua vita era stata barattata fin dalla sua nascita con la salvezza del pianeta, esattamente come era successo a suo padre e ai suoi antenati.
In fondo, non era un brutta morte: ma a soli 18 anni essere mandati al patibolo senza facoltà di scelta era alquanto degradante.
Rimpiangeva la sua infanzia perduta: quando sei la futura salvezza dell’universo non hai tempo per giocare, ridere, scherzare, fare amicizia. Quando sei l’invocatrice che si sacrificherà per portare la pace nel mondo, non puoi pretendere che tuo padre non ti preceda nella tua missione per passeggiare con te, darti consigli e vederti crescere. Quando sei l’unica speranza di un mondo ormai distrutto, non puoi pretendere di pensare a un’altra vita, magari felice.

Prega, solo questo. Devi diventare un’invocatrice.

Ma in fondo, cosa c’era di male se una bambina sognava? Perché quello si sentiva: una bambina trasformata in marionetta a cui erano stati strappati violentemente sogni e speranze.
Era ironico che lei, poi, rappresentasse proprio quello per tutta Spira: sogni e speranze per un futuro migliore.
Ma poteva davvero proteggere quelle persone senza conoscere lei per prima il significato di quelle parole?
Forse sì, forse no: ma ormai, perché pensare ancora? Il suo destino era deciso, e non poteva fare nulla per cambiarlo.
O forse, non voleva cambiarlo. Voleva vivere, certo, non era masochista:ma era esperta della morte e inesperta della vita. Aveva vissuto tutti i suoi 18 anni tra casa sua e il tempio, in preghiera. Non aveva nessuno accanto a sé su cui poter contare e a cui confidare cose non relative alla sua missione. In pratica, non aveva nulla.
Avrebbe sacrificato un intero mondo, il suo mondo per un futuro in cui non vedeva certezze né punti saldi?
La risposta era scontata.

Prega, solo questo. Devi diventare un’invocatrice.

Yuna uscì dalla stanza, attesa dai suoi guardiani ai piedi della scalinata: era stremata, si reggeva a malapena in piedi.
Si appoggiò ad un muro, sentendo un mugolio di sorpresa dalle persone ai suoi piedi: tentò di alzarsi, con scarsi risultati.
Cadde, aspettandosi una qualche sorta di dolore al contatto con le scale, che però non arrivò: scansò Kimari che gentilmente la reggeva in bilico sulla scalinata, riprovando, stavolta con successo, a mettersi in piedi.
Scostò i capelli con calma, liberando il volto leggermente sudato: guardò i suoi guardiani, senza fare caso al “nuovo acquisto” presente tra di loro.
Si sforzò di fare un sorriso: aveva preso la sua decisione.
“Ce l’ho fatta, sono un’invocatrice.”


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