Tomb Raider e la realtà – Tomb Raider IV

La saga di Tomb Raider ha fatto conoscere alle nuove generazioni città perdute, civiltà scomparse e misteri: ma qual è la realtà che si cela dietro la serie? L’obiettivo di questa sezione è proprio quello di esplorare le realtà storiche, culturali ed artistiche che si nascondono dietro le ambientazioni e gli scenari che ci vengono proposti nel corso delle diverse avventure dell’amata Lara Croft. In questa pagina sono analizzate le corrispondenze di Tomb Raider 4 nella realtà.

Moschea di Ibn Tulun

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 La Moschea di Ibn Tulun è una delle più grandi e antiche dell’Egitto. Fu costruita tra gli anni 876 e 879 d.C. da un governatore abbaside inviato in Egitto da Baghdad. Detta “moschea del venerdì”, il suo cortile su un arco aperto è grande abbastanza per contenere l’intera comunità maschile riunita per le preghiere nel giorno più sacro della settimana. 

Edificata completamente in mattoni d’argilla, la moschea è circondata da un cortile esterno, concepito per tenere a bada i profani. Questo cortile e il suo curioso minareto a spirale rendono la moschea unica nel suo genere in tutto l’Egitto. 

Il muro di cinta insieme al relativo camminamento avrebbero dovuto assicurare una rispettosa distanza delle adiacenze dal luogo di culto, ma ciò non necessariamente era la realtà dell’affollato Cairo medievale dedito al commercio. Per gran parte della sua storia, il camminamento esterno di Ibn Tulun fu occupato da un bazar: negozi e scuderie furono sgombrati soltanto nel XIX secolo. 

Allo scopo di non sporcare i tappeti su cui i fedeli si inginocchiano per pregare, vengono fornite babbucce di panno da indossare sopra le scarpe (per le quali siete tenuti ad offrire una mancia). La pianta della moschea è pressoché quadrata. Il cortile centrale, molto spazioso, è circondato sui quattro lati da arcate ombreggianti. Tre di queste sono profonde due campate e la quarta, rivolta verso la Mecca, di cinque campate, funge da sala della preghiera. Si dice che i motivi decorativi delle piccole finestre che ornano le pareti posteriori delle navate siano di una varietà tale da non presentare ripetizioni. 

Il minareto è raggiungibile dal passaggio esterno. Dal piccolo vano collocato alla sua sommità si gode di un’ottima vista sulla moschea sottostante, nonché di un panorama che va dai minareti della moschea del Sultano Hassan al tipico profilo della moschea di Mohammed Ali nella cittadella. 

Interessante quanto la moschea di Ibn Tulun, se non di più, è il vicino Museo Gayer Anderson fondato nel 1937 da due antiche residenze locali, la Beit el-Kiridiliya del 1632 e la Beit Amna Bent Salim del 1540. E’ raggiungibile dal cortile esterno, immediatamente sulla sinistra della moschea. Il Museo è una fantasia orientalista: cortili fragranti di gelsomino, pavimenti coperti di tappeti, fontane, corridoi serpeggianti e logge con grate che celavano gli sguardi. 

Fonte: Rosso Pompeiano forum

Il Bazaar

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Un bazar è un’area permanentemente vocata al commercio ed è costituita da un insieme abbastanza vario di vie e larghi in cui s’affacciano negozi di beni commerciali di varia natura e di servizi ad essi per lo più dedicate. La parola persiana bazar, ha un’etimologia che risale al periodo persiano sasanide medio-persiano e la parola originaria era baha-char , che significava “il posto dei prezzi”. Malgrado si pensi che la parola originaria sia persiana, il suo uso si è diffuso ovunque e oggi è accettato nelle varie lingue del mondo 

Di fatto è esattamente equivalente al termine arabo “suq”. 

Bazar famosi: 

Khan el-Khalili del Cairo
Grande bazar di Tehranr
Bazar di Tabriz
Bazar di Isfahan
Grande Bazar d’Istanbul
Chandni Chowk Bazar di Delhi
Anarkali Bazar di Lahore
Bazar della città murata di Lahore
Hampi Bazaar, il diroccato bazar (XV secolo) di Vijayanagara 

Fonte: Rosso Pompeiano forum

Complesso Templare di Karnak

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 Il complesso templare di Karnak – di cui il Grande tempio di Amon e il Tempio di Luxor costituiscono solo una parte – si trova sulla riva destra (rispetto alla sorgente) del Nilo e la sua costruzione procede di pari passo con la storia egiziana antica; esso è, infatti, un sovrapporsi di strutture successive tanto che è oggi quasi impossibile individuare il nucleo originale (vedi fig. b.), risalente al Re Sesostris I della XII Dinastia, che era costituito da tre piccoli locali orientati Est-Ovest, oggi inesistenti, e di cui si conservano solo le soglie ubicate nell’area posteriore al santuario della “barca sacra” di Filippo Arrideo, e nei pressi del “Chiosco di Sesostri I” ricostruito con componenti rinvenuti quale materiale di riempimento del III Pilone (Seti I, XIX Dinastia). 

Dalla XII alla XXX Dinastia, in un arco di oltre 1600 anni, ogni Re o Faraone ha lasciato la propria traccia apportando modifiche, talvolta sfruttando le preesistenti costruzioni come cave di materiale o “usurpandole” a proprio nome. 

Secondo la convenzione egiziana, la perfezione divina era costituita da una triade, o trinità; anche nel caso del complesso templare di Karnak, si assiste alla medesima immagine talché la triade è costituita dal citato Amon, dalla sua sposa Mut e dal figlio Khonsu che, pur non godendo di un complesso proprio, viene celebrato, come nella Festa di Opet, in entrambi i recinti dei genitori con un tempio a lui dedicato in ciascuno. Il recinto templare della Dea Mut (di circa m 250 x 400) è collegato a quello del marito Amon da un “dromos”, un viale di sfingi criocefale (ovvero con corpo di leone e testa di ariete), mentre in ognuno dei recinti maggiori si trova un lago per i lavacri sacri dei sacerdoti. 
Una delle sfingi a testa d’ariete poste all’ingresso del Tempio di Karnak 

Per quanto attiene al complesso di Amon vero e proprio, di difficile “lettura” alla luce dei molteplici interventi succedutisi in oltre 1600 anni, tre sono i momenti fondamentali individuabili: 

costruzione del tempio originale del Medio Regno (XII Dinastia, sotto Sesostri I);
costruzione del tempio di Amon propriamente detto (XVIII Dinastia, sotto Thutmose I) con un recinto in pietra calcarea di circa 125 m di lunghezza; elevazione dei I e II Pilone (oggi corrispondenti, rispettivamente, al IV ed al V) e realizzazione di una Sala Ipostila (oggi scomparsa);
la costruzione del III pilone come base di partenza per la realizzazione della Grande Sala Ipostila, sotto Amenofi III (XVIII Dinastia)
aggiunta, durante la XVIII Dinastia, a cura di Thutmose III in occasione della sua festa giubilare, del cosiddetto “Akh-Menu”, o “Sala delle Feste”, ad ovest, di una corte che, sotto Sethy I e, poi, sotto Ramses II, si trasformerà nella Grande Sala Ipostila. 

Per avere idea delle enormi dimensioni del complesso templare di Amon oggi, si consideri che esso misura m. 400 x 600 circa, per un’area complessiva di circa 300.000 m2. 

Legenda:
1 – Primo pilone (ingresso monumentale; XXX Dinastia);
2 – Tempio di Sethy II (XVIII Dinastia);
3 – Grande cortile porticato;
4 – Tempio di Ramses III (XX Dinastia);
5 – Sala ipostila (iniziata da Sethy I, terminata da Ramses II -XIX-);
6 – Tempio di Amon (propriamente detto)(vedi fig. b);
7 – “Akh-Menu”, o “Sala delle feste” di Thutmosi III (XVIII Dinastia);
8 – Lago sacro di Amon;
9 – Propilei del sud;
10 – Tempio giubilare di Amenhotep II (XVIII Dinastia)
11 – Tempio di Khonsu;
12 – Tempio di Opet;
13 – Viale delle sfingi “criocefale”;
14 – Tempio di Mut;
15 – Lago sacro di Mut;
16 – Tempio di Amenhotep III (XVIII Dinastia);
17 – Tempio di Ramses III (XX Dinastia);
18 – Tempio di Monthu.

L’orientamento geografico del complesso è duplice ed è oggi individuabile dal posizionamento dei Piloni la cui numerazione corrente, però, non segue lo sviluppo storico costruttivo del complesso, bensì una progressione “di comodo” stabilita dagli archeologi: da est ad ovest, dall’esterno verso l’interno, per la parte più antica (piloni da I a VI) e da sud a nord, ma dall’interno verso l’esterno, per la parte più recente (piloni da VII a X). A riprova della difficoltà di lettura del complesso (tenendo presente la numerazione attuale dei Piloni), si consideri che: 

I Pilone, sull’asse est-ovest (il cosiddetto “Ingresso Monumentale”): è in realtà uno degli ultimi costruiti; si apre, infatti, nella cinta muraria della XXX Dinastia;
X Pilone (lettera “A” in fig. a), sull’asse nord-sud, si apre anch’esso sul recinto della XXX Dinastia, ma mentre il I è contestuale alla costruzione del recinto stesso, questo risale al Faraone Horemhab della XVIII Dinastia ed è stato, perciò, inglobato nella successiva costruzione. 

Karnak

 Pure alla XVIII Dinastia risalgono le tracce di un muraglione “a rientranze e sporgenze” (lettera “B” in fig. a), che riprende motivi architettonici tipici delle fortezze mesopotamiche, che delimitava l’area del complesso intorno al 1500-1400 a.C. Nell’area nord (contrassegnata dalla lettera “C” in fig. a) si trovano varie cappelle e santuari dedicati, in Epoca Tarda, al culto di Osiride. Nell’area invece compresa tra il I ed il II Pilone (n.ro 3 in fig. a), si apre il “Grande Cortile Porticato” che ospita (n.ro 4) il tempio-deposito di Ramses III (XX Dinastia) adibito a ricovero delle barche sacre al Dio Amon. Analogo impiego avevano tre sale del tempio di Sethy II (n.ro 2) che ospitavano le barche della triade tebana: Amon, Mut e Khonsu. 

Oltre il II Pilone (n.ro 5) si apriva un grande portico scoperto voluto da Amenhotep III (XVIII Dinastia) e trasformato, da Sethy I e successivamente dal di lui figlio Ramses II, nella “Grande Sala Ipostila” con le sue 134 colonne. La facciata del tempio di Thutmosi I (XVIII Dinastia, area n.ro 6 in fig. a) dà accesso al “Luogo Prescelto”, il tempio di Amon propriamente detto (fig. b) e costituisce, oggi, il V Pilone. Ai lati del suo accesso, Thutmosi III erigerà due pilastri rappresentanti le piante araldiche dell’Alto e Basso Egitto, rispettivamente il fior di loto e il papiro. Accanto ai due pilastri, all’epoca di Tutankamon, saranno edificate le statue di Amon ed Amonet. 

Nell’area contrassegnata in fig. “a” dal n.ro 7, si apre l’Akh-Menu, la “Sala delle Feste” voluta da Thutmosi III, che ospitava il cosiddetto “orto botanico” ovvero la rappresentazione parietale della flora e della fauna incontrata dal grande Re guerriero nel corso delle sue 17 campagne di guerra e le cui conquiste,in tal modo, venivano offerte simbolicamente al Dio Amon. Oltre il santuario del Medio Regno (fig. b e lettera “H” di fig. a) si trovava l’obelisco di Thutmosi IV che oggi svetta in Piazza San Giovanni in Laterano a Roma. Qui erano ubicate, inoltre, le abitazioni del sacerdoti. 

Nei pressi del lago sacro ad Amon (n.ro si trova ancora oggi la statua gigante di Khepri, lo scarabeo sacro rappresentazione del Sole al suo sorgere. 

L’area contrassegnata dalla lettera “I” (in fig. a) è comunemente nota come “Cortile del Nascondiglio”; è qui, infatti, che in epoca tolemaica vennero sepolti ex voto ed offerte che si erano accumulate nel corso dei secoli e che, evidentemente, “ingombravano”. Il VII e l’VIII pilone delimitano le aree contrassegnate dalle lettera “L” ed “M”. Entrambi i Piloni vengono “assegnati” a Thutmosi III, ma mentre l’VIII è sicuramente di tale sovrano della XVIII Dinastia, quasi certamente il VII venne eretto sotto Hatshepsut e successivamente “usurpato” dal figliastro. 

L’area contrassegnata dalla lettera “N” è, infine, delimitata dal IX e X Pilone di Horemhab; qui si manifesta l’usanza (in questo caso positiva) di riutilizzare antichi monumenti come “cave di materiale” edile. All’interno di tali piloni, infatti, sono state rinvenute migliaia e migliaia di “talatat” provenienti dal distrutto tempio dedicato ad Aton da Amnhotep IV/Akhenaton e che si trovava, molto verosimilmente, proprio in questa zona. Altre migliaia di tali mattoni (provenienti anche dalla demolita Akhetaton) sono stati inoltre rinvenuti quale riempimento del II Pilone (pure di Horemhab) e nelle fondamenta della “Grande Sala Ipostila” di Sethy I e Ramses II. 

Fonte: Rosso Pompeiano forum

Mastaba

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La màstaba è un particolare tipo di tomba monumentale utilizzata durante le prime fasi della civiltà egizia. Il termine deriva dalla parola araba “panca” o “banchetto”. Esse venivano riunite in necropoli.

La màstaba fu ideata anticamente a tumulo allo scopo di proteggere le salme dei defunti dagli assalti degli animali in cerca di cibo. I sepolcri vennero in origine, gradualmente inseriti ad una profondità sempre maggiore e nella loro parte superiore si accatastò un cumulo di pietre e sabbia, simbolo del monte emerso dalla divinità Nun all’inizio dei tempi. 

Durante l’epoca predinastica i pozzi contenenti le tombe vennero scavati a qualche metro più in basso, si rivestirono di mattoni e di legno e si decorarono le pareti con varie pitture. 

Le tombe a màstaba più semplici sono costituite da un “gradone” di forma tronco-piramidale. La struttura conteneva alcune cappelle rituali, una falsa porta decorata e incorniciata (attraverso la quale era consentito al defunto, o meglio al suo ba, di lasciare l’aldilà per andare a ricevere le offerte deposte dai vivi sull’apposita tavola), che inizialmente era una stele posta in un angolo e poi in un secondo tempo divenne un pannello superiore alla porta, contenente anche la statuetta raffigurante il defunto, ed un pozzo (chiuso con pietre e detriti, molte volte assai profondo, – anche più di venti metri – che dava accesso alla tomba vera e propria). 

La parte esterna della màstaba, quella in superficie (che si contrappone al pozzo), ha come funzione quella di chiudere l’accesso alla tomba (simbolicamente quello di porre un sigillo) e di segnalare la presenza del sepolcreto. 

Usata da sovrani delle dinastie thinite questo tipo di struttura resterà poi caratteristica dei membri della corte (visìr, scribi, nobili e sacerdoti) anche sotto le dinastie posteriori. 

Si ritiene che da questo tipo di struttura si sia sviluppata poi la “piramide” vera e propria. Ad esempio la famosa “piramide a gradoni” di Djoser può essere vista come una serie di mastabe sovrapposte. 

Fonte: Rosso Pompeiano forum

La Cittadella

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 La Cittadella di Saladino è una fortificazione del Cairo in Egitto. Il sito, parte della collina del Muqattam vicina al centro del Cairo, era un tempo famoso per la fresca brezza e per la superba visione sulla città. Venne fortificato da Salah al-Din (Saladino) fra il 1176 ed il 1183, come protezione contro i Crociati. 

Pochi anni dopo aver sconfitto il Califfato fatimida, Saladino decise di costruire delle mura che circondassero sia Il Cairo che al-Fustat. Secondo alcune fonti, Saladino disse: “Con un muro farò delle due città di Cairo e Fustat un tutto unico, in modo che un esercito possa difenderle entrambe, e credo sia bene circondarle con un muro che vada dalle rive del Nilo alle rive del Nilo”. La cittadella sarebbe stata al centro delle mura.Costruita su un promontorio ai piedi delle colline Muqattam, un sito difficile da attaccare. L’efficacia della posizione della Cittadella è ulteriormente dimostrata dal fatto che essa è rimasta il cuore del governo egiziano fino al XIX secolo. La cittadella smise di essere la sede del governo quando Isma’il Pascià si trasferì nel nuovo Abdin Palace, nel quartiere di Ismailiya negli Sessanta dell’Ottocento. 

Mentre la Cittadella venne completata nel 1183-1184, le mura immaginate da Saladino erano ancora in costruzione nel 1238, molto tempo dopo la sua morte.
Per l’approvvigionamento idrico alla Cittadella, Saladino costruì il pozzo di Giuseppe, che può ancora essere visto oggi. Il pozzo è noto anche come il Pozzo della spirale, perché il suo ingresso era costituito da 300 gradini che si snodavano intorno alla parete interna.L’acqua è stata sollevata dal pozzo alla superficie veniva convogliata alla Cittadella tramite una serie di acquedotti. Durante il regno di al-Nasir Muhammad, il Pozzo di Giuseppe non riuscìva a dare acqua a sufficienza per i numerosi animali e gli esseri umani che vivevano nella Cittadella. Per aumentare il volume di acqua, Nasir costruì quindi un sistema costituito una serie di norie che sollevavano l’acqua del Nilo. Questa veniva poi incanalata lungo le mura e condotta alla Cittadella mediante gli acquedotti costruiti da Saladino.In seguito anche i Mamelucchi apportarono delle migliorie 

Il contributo più notevole realizzato da Nasir fu la costruzione della moschea di Nasir. Nel 1318 Nasir ricostruì la struttura ayyubide, trasformandola in una moschea alla quale diede il suo nome. La struttura ricevette ulteriori aggiunte nel 1335. Altri contributi alla Cittadella durante il regno di Nasir comprendono la recinzione meridionale (il recinto nord è stato completato da Saladino) e la zona residenziale, che comprendeva lo spazio per l’harem e il cortile. Prima dei lavori fatti eseguire da Nasir, i Baybar costruirono il Palazzo di Giustizia e la “Casa d’Oro”. 

La Cittadella è spesso chiamata Cittadella di Muhammad Ali, poiché in essa si trova la Moschea di Muhammad Ali Pasha, costruita fra il 1828 ed il 1848, sulla sommità . 

Questa moschea ottomana venne costruita in memoria di Tusun Pasha, figlio maggiore adottato di Muhammad Ali, che morì nel 1816. Tuttavia, essa rappresenta anche gli sforzi realizzati da Muhammad Ali nel voler cancellare i simboli della dinastia mamelucca che aveva sconfitto nel 1805. Un cambiamento evidente realizzato da Muhammad Ali è visibile nelle recinzioni nord e sud della cittadella. Durante il periodo mamelucco il settore sud delle mura era la zona residenziale, mentre Muhammad Ali optò per le mura nord come sede della residenza reale quando prese il potere. Egli aprì poi le mura sud al pubblico affermando così la sua posizione di leader del nuovo regime. 

La moschea o, con la sua grande cupola di architettura prettamente ottomana, sovrasta la Cittadella fino ai nostri giorni. Per far posto alla costruzione della moschea Mohammed Ali fece abbattere diversi palazzi recenti fatti costruire dai mamelucchi, e fra questi la loro residenza, realizzando la più grande struttura architettonica costruita nel XIX secolo. Il posizionamento della moschea sui luoghi in cui i Mamelucchi avevano regnato, fu un evidente sforzo di cancellare la memoria degli antichi governanti e stabilire l’importanza della nuova dinastia. La nuova moschea sostituì la moschea di al-Nasir come la moschea ufficiale di stato. 

Nella cittadella esistono altre due moschee, quella di al-Nasir Muhamma ipostila del XIII/XIX secolo Moschea della dinastia Bahri e quella di Suleyman Pasha del XVI secolo Moschea , la prima costruita in stile ottomano sulla Cittadella. 

Altro edificio notevole è il Al-Gawhara Palace, dove hanno sede il National Military Museum ed il Police Museum 

Il Palazzo dell’Harem, costruito nel 1827 d.C., comprende tre ali e presenta all’interno pitture e decorazioni che riflettono lo stile orientale adottato da Mohamed Ali. Fu la residenza della famiglia reale fino al 1874 d.C., data in cui il chedivè Ismail fece trasferire la sede del governo nel palazzo Abdin. Nel 1946 d.C., dopo essere servito da ospedale militare durante l’occupazione inglese, fu trasformato in Museo Militare; ricco di armi bianche, armi da fuoco e scudi. Nell’ala centrale l’antico hammam è interamente ricoperto di alabastro, mentre nell’ala sinistra si alza la statua del colonnello de Sèves. Fuori si trova la tomba dello sheikh Muhammad el-Kahaki (XVI secolo) e una parte della muraglia costruita da Saladino, chiusa in quella del XIX secolo. 

In questa zona della cittadella si trovano due altri piccoli musei: il Museo delle Carrozze, dedicato a una collezione di vetture ufficiali e un museo archeologico che ospita antichità trafugate e poi recuperate. 

Costruite nel 969 ma in modo alquanto leggero,le mura furono rinforzate da Saladino intorno al 1183 in un primo momento, fortificate 25 anni più tardi dal nipote El-Kamil, che detenne qui i Crociati europei catturati, e poi allargate per inserire dei cannoni da contrappore all’invasione di Napoleone nel 1798. Le mura a quei tempi avevano almeno 10 porte d’accesso, ma ad oggi ne sono restate in piedi soltanto tre, due a nord e uno al sud. Alcuni blocchi hanno delle iscrizioni geroglifiche che testimoniano che le prime fortificazioni furono costruite con pietre provenienti da Menfi. 

Le solide mura che circondano la Moschea di Suleyman Pasha sono le strutture più antiche dell’intero complesso; attraversando l’anfiteatro ed entrando nelle due torri gemelle semicircolari, dette Burg er-Ramla (Torre della Sabbia) e Burg el-Haddad (Torre del Fabbro), che vegliavano sul passo tra la cittadella e le alture rocciose a ridosso.

Alessandria

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Con i suoi eterni simboli, Alessandro Magno e Cleopatra, la rinomata Biblioteca e l’imponente Faro passato in rassegna tra le Sette Meraviglie del Mondo Antico, l’Alessandria dei tempi passati era una città straordinaria. Fu fondata nel 332 a.C. e prima di entrare in declino nel IV secolo d.C., arrivò persino a competere con Roma.

La Biblioteca di Alessandria raccoglieva in sé tutto il sapere del mondo antico, conferendo alla città l’apellativo di “luogo più colto della Terra”. Gli antichi Alessandrini innalzarono un gigantesco faro allo scopo di magnificare la città, guidando al contempo le navi verso l’importante porto di Alessandria. 

Con tutta la sua cultura e ricchezza, l’antica Alessandria d’Egitto oggi è quasi svanita. I suoi grandiosi templi e le sue istituzioni culturali furono rasi al suolo e bruciati dall’intolleranza dei cristiani, mentre l’abbandono e le calamtità naturali hanno fatto il resto: i terremoti hanno distrutto il palazzo reale ed il mare impietoso ha fatto crollare il faro. 

Nel XIX secolo il pascià Mohammed Ali risollevò le sorti della città, collegando il porto di Alessandria al ramo sinistro del Nilo. L’apertura del mediterraneo fino al Cairo richiamò migliaia di viaggiatori europei giunti per gustare il nuovo fascino del luogo e dando vita all’atmosfera decadente descritta da scrittori come Lawrence Durrell o E.M. Forster . Purtroppo anche questa epoca finì negli anni ’50, quando la rivoluzione di Nasser mise in fuga gli stranieri. 

D’allora Alessandria ha conosciuto una crescita demografica esplosiva, superando i cinque milioni di abitanti e occupando 20 km di costa, diventando per grandezza la seconda città dell’Egitto. L’Alessandria del XXI secolo è una città moderna, caratterizzata da palazzoni, ingorghi, fast food e telefoni cellulari. Basta però scavare poco sotto la superficie e si trovano subito reperti antichi che meritano essere visitati. 

Fonte: Rosso Pompeiano forum

Piramide della regina Kefy e la Grande Piramide

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 Specifichiamo che vi è un enorme errore di traduzione: in realtà è il complesso delle Piramidi delle regine, poco distante la Grande Piramide di Cheope! Il nome “Khufu” è semplicemente la traslitterazione dela geroglifo h f w – Khfu, hiero_I9 

La Piramide di Cheope a Giza, anche detta Grande piramide, è l’unica delle sette meraviglie del mondo antico che sia giunta sino a noi, nonché la più grande piramide egizia e la più famosa piramide del mondo. È la più grande delle tre piramidi della necropoli di Giza, vicino al Cairo in Egitto. Costruita, si presume, intorno al 2570 a.C., è rimasta l’edificio più alto del mondo per circa 3800 anni. 

Eretta da Cheope, nome Horo Medjedu ossia “Colui che colpisce”, della IV dinastia dell’Egitto antico come monumento funebre è stata realizzata dall’architetto reale Hemiunu. 

All’interno, come per molte altre sepolture reali dell’antico Egitto, saccheggiate dai violatori di tombe già nell’antichità, non è stata trovata alcuna sepoltura e ciò ha fatto nascere un buon numero di teorie, fino ad oggi prive di reale fondamento, sul fatto che le piramidi non siano monumenti funebri. L’attribuzione della grande piramide a Cheope è deducibile dalla concordanza dei rilievi archeologici con i dati storici disponibili, costituiti dai libri dello storico greco Erodoto. 

La data probabile del suo completamento è il 2570 a.C. È la più antica delle tre grandi piramidi nella necropoli di Giza, alla periferia del Cairo, in Egitto. 

Poche centinaia di metri a sud-ovest dalla Piramide di Cheope sorge la piramide attribuita al suo successore Chefren, che costruì anche la Sfinge. Ancora a poche centinaia di metri a sud-ovest è la piramide di Micerino, successore di Chefren, alta circa la metà delle due maggiori. La piramide di Chefren appare più alta solo perché è stata costruita su un terreno più elevato. 

Nelle immediate vicinanze della piramide vi sono ben sette fosse per barche sacre di cui una è stata ricostruita ed è visibile nell’apposita struttura ove la barca di Cheope ha subito un notevole restauro. 

La piramide è provvista di cortile, luogo di culto a nord, tempio funerario, rampa processionale ed altre strutture quali il tempio a valle. Vi sono inoltre annesse alla piramide principale di Cheope anche tre piramidi secondarie di minor dimensione dedicate a sue tre regine ed una piramide satellite scoperta nel 1999 

Quando fu costruita, la piramide di Cheope era alta circa 146,6 metri (280 cubiti egiziani) ed era pertanto la costruzione più alta realizzata fino ad allora. La sua altezza attuale è tuttavia di soli 138 metri e risulta essere pertanto di poco più alta della piramide di Chefren, alta 136 metri. Causa di questa perdita di altezza è probabilmente la rimozione del rivestimento di pietra calcarea che in passato rivestiva l’intera piramide, dovuto sia a fenomeni di erosione naturale, che alla rimozione delle pietre calcaree da parte degli abitanti del Cairo, che in passato sfruttarono le piramidi come cave di pietre. 

La base della piramide copre oltre 5 ettari di superficie, formando un quadrato di circa 230,34 metri per lato. L’accuratezza dell’opera è tale che i quattro lati della base presentano un errore medio di soli 1,52 cm in lunghezza e di 12″ di angolo rispetto ad un quadrato perfetto. I lati del quadrato sono allineati quasi perfettamente lungo le direzioni Nord-Sud ed Est-Ovest (l’errore dell’allineamento è di solo 3′ e 6”). I lati della piramide salgono ad un angolo di 51º 50′ 35″. 

Per la costruzione del solo rivestimento esterno della Grande Piramide sono state scelte pietre di calcare, basalto e granito, pesanti ognuna dalle 2 alle 4 tonnellate, mentre la parte interna, denominata Zed è costituita di monoliti in granito pesanti dalle 20 alle 80 tonnellate, per un peso totale che si aggira intorno ai 7 milioni di tonnellate. Il volume totale è di circa 2 600 000 m³ . È quindi la più voluminosa piramide d’Egitto ma non del mondo, dato che la piramide di Cholula, in Messico è più grande. 

Nell’epoca immediatamente successiva alla costruzione, la piramide era rivestita esternamente di bianche pietre di calcare, lucide e molto lisce, incise con antichi caratteri, precipitate al suolo a causa di un violento terremoto nel 1301 a.C. ma la maggior parte dei blocchi di rivestimento è stata rimossa, sempre verso il 1300, per la costruzione della cittadella e della moschea del Cairo. 

Ma la demolizione della piramide iniziò già in epoca antica come testimoniano i conci ritrovati nel Complesso piramidale di Amenemhat I recanti incisi i cartigli di Cheope. La piramide con il suo pyramidion d’oro situato sulla sommità, sotto i raggi del sole doveva risplendere come una gemma gigantesca risultando visibile anche a notevole distanza. Come ci narra Erodoto, furono utilizzati circa centomila uomini che lavorarono per circa quarant’anni alla costruzione della piramide. 

La piramide di Cheope si distingue dalle altre per la sua posizione geografica, ma anche per il grande numero di passaggi e alloggiamenti, per la rifinitura dei lavori interni e la precisione di costruzione.

Necropoli di Giza

Necropoli di Giza

 1 – Piramide di Cheope
2 – Tempio funebre di Cheope
3 – Via cerimoniale
4 – Piramidi secondarie
5 – Necropoli occidentale
6 – Necropoli orientale
7 – Fosse delle barche solari
8 – Piramide di Chefren
9 – Piramide secondaria
10 – Tempio funerario di Chefren
11 – Via cerimoniale
12 – Sfinge
13 – Tempio a valle di Chefren
14 – Tomba della regina Kentkaus
15 – Piramide di Micerino
16 – piramidi secondarie
17 – Tempio funerario di Micerino
18 – Via cerimoniale
19 – Tempio a valle di Micerino 

La necropoli di Giza è situata nella piana di Giza, alla periferia de Il Cairo, in Egitto. Questo complesso di antichi monumenti dista 8 km circa dall’antica città di Giza, sul Nilo, e 25 km circa dal centro del Cairo in direzione sud-ovest. Al suo interno si trova la Piramide di Cheope (o Grande Piramide), l’unica tra le sette meraviglie del mondo giunta sino ai giorni nostri. 

La forma piramidale perfetta fu adottata dai costruttori egizi proprio perché, oltre al culto dei faraoni, era praticato pure quello del Sole. Infatti gli spigoli della piramide rappresenterebbero i raggi solari che scendono sulla terra: la piramide era la scala per salire al cielo. Gli egizi erano molto precisi ad orientare ciascuna delle quattro facce nella direzione di un rispettivo punto cardinale. Proprio le tre grandi piramidi di Giza lo testimoniano; nell’area sud-occidentale del Cairo. Questa necropoli dell’Antico Egitto è composta dalle tre piramidi principali di Cheope, Chefren (o Khepren) e Micerino (o Mykerinus), attorniati da altri piccoli edifici satellite, noti come piramidi delle regine, rampe e piramidi della valle. La Grande Sfinge sorge sulla parte orientale del complesso, con la faccia rivolta verso est; attualmente gli egittologi ritengono che il volto della Grande Sfinge sia quello di Chefren. Assieme a questi monumenti reali sono presenti anche le tombe degli alti ufficiali e molti memoriali e monumenti risalenti al Nuovo Regno e posteriori alla loro costruzione, eretti per riverenza nei confronti dei sepolti nella necropoli. 

La fase principale di costruzione della necropoli avvenne attorno al XXV secolo a.C. e fu resa popolare ai tempi dell’Ellenismo nel momento in cui la Piramide di Cheope fu inserita da Antipatro di Sidone nella lista delle sette meraviglie del mondo. 

Per via delle foto e dei ritratti realizzati nel XIX secolo, le piramidi di Giza sono in generale immaginate dai turisti come se fossero posizionate in una remota località desertica, sebbene in realtà la loro zona sia circoscritta da una popolosa area urbana formata da numerose palazzine. La necropoli di Giza, assieme agli antichi siti di Menphi, Saqqara, Dahshur, Abu Rawash ed Abusir, sono stati proclamati Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nel 1979.

Il Lago Sacro

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 Molti templi, particolarmente nel Nuovo Impero, sono dotati di un lago sacro ove si svolgevano manifestazioni religiose e misteri, cui fu ammesso ad assistere anche Erodoto. Secondo la religione egizia, immergendosi nelle acque di uno di questi laghi sacri, si veniva purificati. 

Fonte: Rosso Pompeiano forum e miezewau.it/lagosacro.htm

Tomba di Semerkhet (Il gioco del Senet)

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 Il senet era un gioco da tavolo, considerato uno dei più antichi antenati del Backgammon. La sua storia inizia nell’Antico Egitto dove, sembra, fosse diffuso tra tutte le classi sociali, soprattutto quelle elevate. Questo è il gioco più antico conosciuto: è risalente al 3300 a.C. 

Si gioca su una scacchiera larga 3 cm e lunga 10 cm; alcune caselle sono speciali. 

Nella tomba di Tutankhamon sono stati ritrovati molti tavoli da gioco in legno e avorio, con cassetti per le pedine sotto la tavola.
Non essendo possibile desumere le regole originali del gioco dai ritrovamenti archeologici, Timothy Kendall e R.C. Bell hanno provato, indipendentemente, a dare delle regole al Senet per cui attualmente si hanno due insiemi di regole differenti. Le incisioni sulle ultime 5 caselle, e la presenza di una sorta di dadi, danno credito alla ipotesi che il gioco consista in una sorta di “corsa”. Il significato dei geroglifici illustrati in queste caselle, infatti significano: uscita, avversità, tre, due, uno. Tali dati rendono poco credibile la possibilità che il Senet sia un antenato degli scacchi, come qualcuno sostiene. 

Fonte: Wikipedia

Sala di Demetrio

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 [ Come appare nello screen, il pittogramma greco è errato: indica il futuro del verbo “bere”, anziché “Pio”, come dovrebbe essere… ] 

San Demetrio, ovvero San Demetrio di Alessandria (? – Alessandria d’Egitto, 231), fu vescovo di Alessandria d’Egitto dal 189 al 231. 

Lo storico e architetto Sesto Africano, che visitò Alessandria ai tempi in cui quest’ultimo occupava la cattedra vescovile, riferisce nelle sue opere che Demetrio fu l’undicesimo vescovo dopo la morte di San Marco e che fu eletto a questo sacro ufficio durante l’impero di Commodo; la collocazione di questo avvenimento da parte di Eusebio di Cesarea durante gli anni dell’impero di Settimio Severo (Historia Ecclesiastica, VI, 2) è univocamente considerata dagli storici un errore. La Catholic Encyclopedia afferma che, dopo San Marco, “Demetrio è il primo vescovo di Alessandria di cui si sappia qualcosa”, non essendoci alcuna reale documentazione storica riguardo ai suoi predecessori, dei quali il già citato Eusebio si è limitato a lasciare una scarna cronologia, ed essendo la vita di Aniano esposta unicamente in opere agiografiche o, come nel caso del Vangelo segreto di Marco, di dubbia rilevanza storiografica 

La prima sua disposizione fu quella di inviare Pantaeno in India nella diocesi di Kerala. Da questo fatto gli storici ritengono che, al momento della nomina di Demetrio come vescovo, Pantaeno non fosse già più a capo della Scuola teologica di Alessandria e fosse già a lui succeduto Clemente. Quando anche quest’ultimo si ritirò (circa nel 203), Demetrio pose al suo posto Origene, che al tempo doveva avere solo diciotto anni. 

Mentre Demetrio, che si era culturalmente formato da solo, prese parte alla sterile risoluzione del problema del Calcolo della Pasqua, che la Chiesa si trovò ad affrontare al tempo di Papa Vittorio I, il pensiero teologico di Origene si sviluppò rapidamente, arrivando ben presto ad oscurare quello del vescovo di Alessandria. 

All’inizio della carriera del filosofo Demetrio incoraggiò questi, arrivando ad inviarlo presso il governatore d’Arabia, che aveva richiesto la sua presenza sia al prefetto che allo stesso Demetrio. Durante il saccheggio di Alessandria (215) da parte delle truppe di Caracalla, intervenute per sedare una rivolta popolare, Origene fuggì a Cesarea dove il vescovo della città gli chiese di recitare dei sermoni durante le messe. Saputo questo Demetrio scrisse a Origene rimproverandolo in quanto questa attività non poteva essere posta in essere da laici. Nonostante i Vescovi di Gerusalemme e di Cesarea cercassero di trattenerlo, il filosofo fu tuttavia richiamato ad Alessandria. I rapporti fra i due entrarono in tal modo in crisi. 

Nel 230, poiché ad Origene fu richiesto di risolvere una disputa teologica ad Achea, questi prese la via per la Palestina senza aver ricevuto prima il permesso da Demetrio, facendosi inoltre ordinare prete a Cesarea (Eusebius, H.E. VI,23). Saputo di ciò Demetrio, considerando il comportamento del filoso un grave atto di insubordinazione, convocò un sinodo nel 231 che bandì Origene dalla comunità cristiana, quindi inviò questa condanna a tutte le Chiese. La chiesa di Roma accettò le decisioni del sinodo, ma quelle di Palestina, Fenicia, Arabia e Achaea le refiutarono. Da Cesarea Origene inviò quattro lettere in sua difesa attaccando Demetrio. 

Il vescovo di Alessandria, dopo aver ostracizzato Origene, pose la Scuola teologica sotto il controllo di Eraclio che era stato il primo pupillo di quest’ultimo. Questo fu probabilmente l’ultimo atto del suo vescovado. 
Viene venerato come santo dalla Chiesa cattolica, da quella ortodossa e da quella copta. 

Fonte: Rosso Pompeiano forum

Tomba di Semerkhet

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 Semerkhet fu il settimo sovrano della I dinastia egizia. 

Le poche informazioni che abbiamo sul regno di questo sovrano ci vengono dalla Pietra di Palermo. Anche a Semerkhet è attribuita una vittoria sugli Iuntyu, popolazione non del tutto identificata, insediata nel nord-est del delta del Nilo. 

Sesto Africano scrive che …annunciata da presagi funesti, durante il suo regno una grande calamità si abbatté sull’Egitto. In effetti nella Pietra di Palermo, malgrado sia danneggiata, sembra di poter leggere che la piena del Nilo nel 9º anno di regno sia stata rovinosa. 

Semerkhet fece scalpellare il nome del suo predecessore Anedjib e della regina Merneith, sua madre, come fossero degli usurpatori ma Qa’a, suo successore, rispettò questi nomi facendo invece scalpellare quello di Semerkhet dando così l’impressione di considerare questi come usurpatore. 

Fonte: Rosso Pompeiano forum

La Valle dei Re e KV5

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 Con il nome valle dei Re si vuole indicare un’area geografica dell’Egitto, situata vicino all’antica Tebe, l’odierna Luxor, il cui accesso è a meno di 3 km dalla riva occidentale del Nilo, di rilevante importanza archeologica. 

Per un periodo di quasi 500 anni, a partire dalla XVIII sino alla XX dinastia, ovvero dal 1552 a.C. al 1069 a.C. venne scelta quale sede delle sepolture dei sovrani dell’antico Egitto, quelli che proprio a partire dalla XVIII dinastia prenderanno il nome da Per-Aa, ovvero la “Grande Casa”, da cui il nostro termine di Faraoni. 

La valle è conosciuta in arabo come Biban el-Moluk ovvero la valle delle “porte dei re” (dacché Bab significa “porta” e Biban ne è il suo plurale) e nelle sue tombe – sino ad oggi ne sono state rinvenute 63 – sono esclusivamente sepolti i sovrani del paese, mentre alle consorti reali ed ai principi era destinata un’altra area alquanto prossima: la cosiddetta Valle delle Regine (Ta-Set-Neferu). 

Il nome ufficiale della valle nella lingua egizia era Ta-sekhet-a’at (il Grande Campo).

I fattori religiosi avrebbero a loro volta favorito la scelta della valle come luogo delle sepolture reali. Si consideri infatti che la dea Hathor, connessa all’idea di rinascita dei faraoni defunti, era considerata la protettrice dell’area montuosa tebana. La Valle è inoltre sovrastata da una montagna sacra, l’antica “Meret-Seger” (“Colei che ama il silenzio”) la cui cima (Qurna in arabo) era conosciuta come Demenet (“La fronte”) che dalla Valle, e solo da questa prospettiva, assomiglia ad una piramide. 

Tuttavia, il termine “Valle”, a ben guardare, potrebbe essere considerato errato giacché non si tratta di una sola valle, bensì di due, una occidentale ed una orientale. Mentre solo 4 sepolture sono state scoperte nella valle occidentale, 58 sono quelle ad oggi esistenti della orientale per un totale, come sopra accennato, di 62, non considerando altri scavi (i cosiddetti “pozzi”) impiegati nell’antichità quali sepolture minori o di animali o come depositi. 

Nonostante le predisposizioni di sicurezza, tuttavia, ed il servizio di guardia armata cui si è sopra fatto cenno, le tombe della Valle vennero tutte depredate già nell’antichità; la stessa tomba di Tutankhamon (KV62) era stata oggetto di ruberie tanto che, nonostante la completezza e la ricchezza delle suppellettili sepolcrali rinvenute da Howard Carter, si calcolò che oltre il 60% dei gioielli era stato asportato dai ladri che vi erano penetrati almeno due volte. In ogni occasione, i guardiani della Valle avevano provveduto a rimettere in ordine, per quanto possibile, ed a richiudere la tomba apponendo il sigillo della necropoli (uno sciacallo che sovrasta 9 prigionieri – i nemici dell’Egitto – legati per le braccia). Da notare che proprio la KV62 è l’unica tomba della Valle che ancora oggi è tale, ospitando le spoglie del faraone Tutankhamon. 

Le tombe della Valle non sono tutte abbellite con rilievi o dipinti, tuttavia, quando questi compaiono, si tratta nella maggior parte dei casi di testi sacri che entrano, dalla XVIII Dinastia, a far parte del corredo stesso delle sepolture regali e che debbono accompagnare il defunto nel suo viaggio nell’aldilà per consentirgli di “vivere” ancora nel mondo ultraterreno. Si concretizzano, generalmente, in raccolte di formule, o detti, o racconti incentrati sul viaggio notturno del Dio sole (nelle sue diverse manifestazioni) e della sua lotta con le forze del male (tra cui il serpente Apophis) che tentano, nottetempo, di fermarlo per non farlo risorgere al mattino. Normalmente indicati con il titolo di “Libro” sono, di fatto, rilievi parietali, o riportati sui sarcofagi o (raramente per ovvi motivi di fragilità del supporto) trascritti su papiro. 

Nonostante l’affascinante storia della Valle, appare chiaro che essa poco o nulla offrirebbe, in sé, ad un ulteriore approfondimento tematico dacché la sua importanza non è intrinseca, ma deriva proprio dal suo contenuto, da quelle tombe le cui “porte” hanno dato il senso al suo nome arabo “Biban el-Moluk”. 

Tenendo presente quanto sopra detto per quanto riguarda la numerazione delle tombe (Wilkinson), la Valle dei Re ospita: 

* KV1 Ramses VII (XX dinastia);
* KV2 Ramses IV (XX Dinastia);
* KV3 mai usata come sepoltura (forse per un figlio di Ramses III);
* KV4 ultima tomba scavata nella valle forse per Ramses XI (XX Dinastia);
* KV5 figli di Ramesse II (XIX dinastia);
* KV6 Ramses IX (XX dinastia);
* KV7 Ramses II (XIX dinastia);
* KV8 Merenptah (XIX dinastia);
* KV9 Ramses VI (XX dinastia);
* KV10 Amenmose (?), poi della Regina Takhat (XX dinastia);
* KV11 Ramses III (XX Dinastia);
* KV12 (?)
* KV13 Cancelliere Bay (XIX dinastia), poi principesse Mentuherkhepeshef e Amenherkhepeshef (XX dinastia);
* KV14 Sethnakht e Tausert (XIX dinastia);
* KV15 Seti II (XIX dinastia);
* KV16 Ramses I (XIX dinastia);
* KV17 Seti I (XIX dinastia);
* KV18 incompiuta (Ramses X ?);
* KV19 originariamente Ramses VIII, poi Mentuherkhepershef, figlio di Ramesse IX;
* KV20 originariamente Thutmosi I, poi Hatshepsut (XVIII dinastia);
* KV21 (?) conteneva due mummie femminili;
* KV22 iniziata sotto Thutmosi IV e finita sotto Amenhotep III (ancora in fase di scavo);
* KV23 Ay (XVIII dinastia);
* KV24 vuota;
* KV25 forse Amenhotep IV/Akhenaton (XVIII Dinastia);
* KV26 inutilizzata;
* KV27 inutilizzata;
* KV28 forse Thutmosi IV;
* KV29 ancora piena di detriti;
* KV30 vuota;
* KV31 ancora piena di detriti;
* KV32 Tia’a moglie di Amenhotep II (?);
* KV33 forse Thutmosi III, poi del Visir Rakhmira (inutilizzata);
* KV34 Thutmosi III (XVIII dinastia);
* KV35 Amenhotep II (XVIII Dinastia);
* KV36 Mahierpi (fanciullo dell’harem reale di Thutmose IV) (?);
* KV37 vuota;
* KV38 Thutmosi I (XVIII dinastia) (?);
* KV39 Amenhotep I (XVIII dinastia) (?);
* KV40 ancora piena di detriti;
* KV41 Regina Tetisheri moglie di Sequenenra Ta’o (XVII dinastia);
* KV42 destinata ad Hatshepsut-Meryet-Ra (moglie di Thutmosi III), poi Sennefer Sindaco di Tebe (XVIII dinastia);
* KV43 Thutmosi IV (XVIII dinastia);
* KV44 titolare sconosciuto, all’interno i resti di sette corpi differenti;
* KV45 Userhat (?) supervisore dei campi di Amon (XVIII dinastia);
* KV46 Yuya e Thuya, genitori della Regina Tye, moglie di Amenhotep III (XVIII dinastia);
* KV47 Siptah (XIX dinastia);
* KV48 Amenemipet, Visir e Governatore durante il regno di Amenhotep II (XVIII dinastia);
* KV49 vuota;
* KV50 ubicazione non nota: conteneva le mummie di un cane e di una scimmia;
* KV51 conteneva le mummie di tre scimmie, un babbuino, un ibis, e tre oche;
* KV52 ubicazione non nota: conteneva la mummia di una scimmia;
* KV53 ubicazione non nota;
* KV54 vuota, conteneva oggetti abbandonati dai ladri della KV62 di Tutankhamon;
* KV55 Amenhotep IV/Akhenaton (?); Smenkhkhara (?); Tye (?); Nefertiti (?) (XVIII dinastia);
* KV56 un figlio di Seti II (?);
* KV57 Haremhab (XVIII dinastia);
* KV58 deposito di corredo funebre (?);
* KV59 nessuna informazione;
* KV60 Sit-Ra, nutrice di Hatshepsut (XVIII dinastia); nascondiglio della mummia di Hatshepsut
* KV61 vuota;
* KV62 Tutankhamon (XVIII dinastia);
* KV63 sconosciuti (in fase di svuotamento marzo 2006).

Dopo il declino e la chiusura della Valle dei Re quale sito di sepoltura dei faraoni egizi, per oltre 500 anni se ne perse il ricordo, fino all’avvento dei primi “turisti” greci che giunsero sulla scia di Alessandro Magno. Dal III secolo a.C. al II secolo d.C. l’Egitto fu meta di curiosi ed appassionati – tra i quali non si può non ricordare l’Imperatore Adriano nel 130 – che già all’epoca si aggiravano tra le antiche vestigia con tanto di guida alla mano. Le guide più importanti sono sicuramente quella scritta da Diodoro Siculo (che visitò l’Egitto tra il 60 a.C. ed il 56 a.C.) e quella di Strabone (amico di Elio Gallo, prefetto d’Egitto durante il regno di Augusto, tra il 25 a.C. ed il 24 a.C.). Le loro informazioni si basavano sui racconti dei preti egizi che davano come esistenti nella valle 47 tombe secondo Diodoro Siculo e “circa 40” secondo Strabone. 

Anche all’epoca esisteva la cattiva usanza di tracciare graffiti sui muri delle località visitate: sono circa 2000 quelli oggi a noi noti in greco e latino (vedi tabella sotto riportata), mentre altri ne esistono in fenicio, cipriota, licio ed in altre lingue straniere, senza menzionare il copto. In base a tali graffiti è possibile stabilire che il periodo in cui la valle era più frequentata dagli antichi “turisti” era il periodo invernale, da gennaio ad aprile (24 graffiti riportano tali date), mentre meno frequentate erano l’autunno, da settembre a dicembre (con 11 graffiti datati) e l’estate, da maggio ad agosto (10 graffiti). 

Dopo il periodo che possiamo definire “turistico” greco-romano, la valle scompare quasi nell’oblio, fatte salve le comunità cristiano-copte, che occupano spesso le tombe già note e più facilmente raggiungibili, trasformandole, oltre che in abitazioni, in chiese. L’interesse turistico prosegue nei siti del Basso Egitto, a nord del paese, ed anche questo contribuirà a far dimenticare l’esistenza della Valle dei Re fino a che Abraham Ortelius, in una sua mappa del 1595, non identifica Luxor con l’omerica “Tebe dalle cento porte”. 

La prima visita di un viaggiatore europeo, ma senza particolare enfasi, sarà nel 1668 quella di Padre Charles Francois seguito – questa volta con maggior interesse tanto da fare connessioni storiche – da Padre Claude Sicard, capo delle missione gesuitica al Cairo il quale, visitata la valle nel 1708, viaggiò poi in Egitto dal 1714 al 1726. Pare che Padre Sicard avesse localizzato 10 tombe, ma gran parte delle sue carte è andata smarrita. 

La prima pubblicazione organica sulla valle si deve tuttavia ad un inglese, Richard Pococke (successivamente vescovo di Meath, in Irlanda), che pubblicò nel 1742 Osservazioni sull’Egitto in cui precisò di aver visitato 15 tombe. A ricordo della sua missione nella Valle, egli lasciò un graffito il 16 settembre 1739 di cui oggi non si ha più traccia, ma che venne notato da un altro viaggiatore inglese, William Hamilton. 

Nel 1768 sarà la volta di un viaggiatore scozzese, James Bruce, che seguì le orme di Pococke e visitò sicuramente nel 1790 la tomba di Ramses III nota anche con il nome, appunto, di “Tomba Bruce”, ma anche con quello di “Tomba delle arpiste”. 

William George Brown, un esploratore anch’egli inglese (troverà poi la morte nel 1813 durante una missione verso Samarcanda), visiterà la Valle nel 1792 e lascerà il suo nome in una delle sale della tomba KV11 di Ramses III. 

Nel 1798 Napoleone Bonaparte tentò l’avventura egiziana per assicurare alla Francia un passaggio verso le ricchezze dell’India attraverso Suez. Della sua Armata facevano parte anche 139 “Sapienti” il cui ruolo era, pur se alle dipendenze di un esercito in pieno assetto di guerra, quello di studiare ogni possibile aspetto geografico, storico, antropologico, del paese moderno, ma anche di quello antico. Tra tali saggi, ma in questo caso non facente parte del gruppo, figurava il barone Vivant Denon che nel 1802 pubblicò Voyages dans le Basse et la Haute Egypt, un resoconto che contribuì ancor di più a scatenare la passione europea, e non solo, per l’Antico Egitto. 

La spedizione militare fu disastrosa: vinta la “battaglia delle piramidi”, Napoleone entrò vittorioso al Cairo, ma solo otto giorni dopo l’ammiraglio britannico Orazio Nelson sbaragliò la flotta francese nella baia di Abukir e tagliò fuori l’armata napoloeonica dalla possibilità di rientrare in Francia per tre anni. Non si trattò, fortunatamente, di anni persi dal punto di vista storico, giacché i “sapienti”, seppure ridotti di un terzo per perdite varie, proseguirono nella loro attività di studio e il 25 gennaio 1799 raggiunsero Tebe e la Valle dei Re. Gli studiosi – che nel frattempo avevano fondato l’ “Istitut d’Egypte” – si appassionarono alla valle e a due di essi, Prosper Jollois ed Edouard de Villiers du Terrage, venne dato espresso incarico di “mappare” la valle e studiarla, tracciando planimetrie delle tombe e riportando disegni dei rilievi. La cartografia conseguente fu una delle più esatte, da quella “primitiva” di Pococke di circa 60 anni prima, e riportò l’ubicazione esatta di 16 tombe. Analogamente saranno perfetti, ed oggi unico ricordo in molti casi, i disegni dei rilievi tombali. Il lavoro di Jollois e de Villiers confluì poi nell’opera monumentale, voluta dallo stesso Napoleone, della Description de l’Egypte che venne pubblicata tra il 1809 ed il 1822 in 19 volumi. 

La prima grande spedizione di tale genere può senz’altro identificarsi in quella che Ippolito Rosellini, professore di lingue orientali all’Università di Pisa, intraprese nel 1828 con il finanziamento del Granduca di Toscana. Del corpo di spedizione facevano parte, oltre lo stesso Rosellini, 12 tra architetti ed artisti nonché un giovane studioso destinato a diventare uno dei più grandi nomi dell’egittologia: Jean-Francois Champollion, il futuro decifratore della Stele di Rosetta e dei geroglifici. 

La missione approdò a Luxor nel marzo del 1829, dopo tre mesi in Nubia, e si accampò, come era usanza all’epoca, nella tomba di Ramses VI (KV9). Nella Valle dei Re la spedizione sostò per due mesi, copiando e studiando i geroglifici, così che Champollion poté dimostrare l’esattezza della sua scoperta. Il lavoro di traduzione, verosimilmente molto intenso, arrivò persino a diventare noioso se uno dei partecipanti (Nestor l’Hôte, allievo di Champollion) annotò nel suo diario “Dio! i geroglifici sono davvero noiosi e depressivi! Ne siamo tutti stanchi!”. La squadra di Rosellini e Champollion visitò 16 tombe della Valle principale da cui ricopiò tutti i rilievi che sarebbero poi confluiti nell’opera postuma di Champollion, pubblicata nel 1845, “Monuments de l’Egypte e de la Nubie”. Precedentemente, nel 1832, Ippolito Rosellini aveva a sua volta pubblicato “I Monumenti dell’Egitto e della Nubia” in cui appaiono splendidi disegni ricchi del colore che all’epoca doveva essere ancora ben visibile sulle pareti delle tombe. 

Fonti: Rosso Pompeiano forum e Wikipedia

Catacombe di Kom el-Shuqafa

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 Il sottosuolo di Alessandria è crivellato da un vasto complesso di catacombe e cisterne, scoperte in modo fortunato nei primi anni del XX secolo, per via della scomparsa di un asino in una fossa improvvisamente apertasi nel terreno. 

Situata a sud della colonna di Pompeo, il complesso di catacombe di Kom el-Shoqafa è la necropoli greco-romana più grande dell’Egitto. Arriva ad una profondità di oltre 30 m e si articola in tre livelli. 

Per visitare le catacombe si scende su una scala avvolta intorno a un pozzo centrale nel quale venivano calati i corpi dei defunti. Questa immette alle tombe disposte sui tre livelli scavati nella roccia. 

Sul primo livello si trova una sala rotonda centrale e una grande sala dei banchetti, il Triclinium, dove parenti e amici rendevano l’ultimo omaggio al defunto. Dalla notevole quantità di frammenti di vasellame ritrovata nel luogo deriva il nome arabo delle catacombe che significa “Collina dei cocci”. 

A est della rotonda c’è la Sala di Caracalla, un complesso funerario ancora più antico, dedicato a Nemesi, la dea dello sport. E’ diventato accessibile dalla camera principale quando alcuni ladri di tombe irruppero buttando giù il muro. 

Un’altra scala scende al sepolcro centrale, situato nel secondo livello. Questo è il fulcro del complesso, la cui singolare decorazione è frutto della fusione di varie credenze e iconografie funerarie. 

Su ambo i lati dell’ingresso, sotto teste di Medusa, due serpenti giganti – che secondo la mitologia greca avevano lo scopo di trasformare in pietra gli eventuali saccheggia tori – reggono la doppia corona dell’Egitto. La decorazione dei sarcofaghi e i rilievi incisi nei pareti mostrano un misto di stile egizio, romano e greco: accanto all’ingresso è raffigurato Anubi, dio dei morti, il cui corpo massiccio è qui stretto in una corazza da legionario romano. 
Nel mezzo del sepolcro centrale una seconda rotonda scende al piano più basso, reso inaccessibile dalle inondazioni. Dalla camera funeraria si ramificano in tutte le direzioni passaggi che conducono a camere contenenti oltre trecento loculi. 

Fonti: Rosso Pompeiano forum e Egittopercaso.net

Piramide di Menkaure

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 Menkaure, più noto col nome di Micerino (forma italianizzata del greco Mykerinos, che compare nelle opere dello storico greco Erodoto), fu il sesto sovrano della IV dinastia egizia. 

Dall’analisi delle iscrizioni in nostro possesso, Menkaure risulterebbe figlio di Userib e della Sposa Reale Khamerernebti (I). 

Sposò, forse per consolidare il suo diritto a regnare, la sorella Khamerernebti (II). 

Tenendo conto che il suo monumento funebre rimase incompleto e che la datazione più alta per Menkaure è il suo undicesimo censimento del bestiame (di regola biennale), gli storici sono propensi ad attribuirgli un regno di 18 anni, in accordo con il Canone Reale, e alcune irregolarità nello svolgimento dei censimenti del bestiame. 

Il complesso funebre di Menkaure di trova a Giza; la piramide, detta Menkaure è divino, più piccola di quella dei suoi predecessori, rimase incompleta nel rivestimento, che avrebbe dovuto essere interamente di granito rosso di Assuan, probabilmente a causa della prematura morte del sovrano. 

Fonte: Rosso Pompeiano forum

Angkor Wat

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 Angkor Wat (in lingua khmer Tempio della città) è un tempio khmer, all’interno del sito archeologico di Angkor, in Cambogia, nei pressi della città di Siem Reap. Fu fatto costruire dal re Suryavarman II (1113-1150). 

Il re ordinò che la costruzione del gigantesco edificio partisse contemporaneamente dai 4 lati, così ché l’opera fu completata in meno di 40 anni. 

L’ipotesi più probabile è che si tratti di un mausoleo, un luogo dove il re potesse essere venerato dopo la morte. Infatti, l’entrata principale è situata a ovest, come nei templi funerari, e non a est, come consuetudine per i templi indù. 

Il tempio è a forma di rettangolo, lungo circa 1,5 km da ovest a est e 1,3 km da nord a sud; all’interno del fossato che circonda completamente il muro perimetrale di 3,6 km vi sono tre gallerie rettangolari, costruite una sopra l’altra. Al centro del tempio si trovano cinque torri. 

Angkor Wat riassume due principali caratteristiche dell’architettura cambogiana: il tempio-montagna che si erge all’interno di un fossato e che simboleggia il Meru (la montagna degli dei nella religione indù. Il tempio, infatti è consacrato a Vishnu), e i successivi templi a galleria. 

È diventato il simbolo della Cambogia, tanto che appare sulla bandiera nazionale ed è oggi il luogo del paese più visitato dai turisti. Secondo il Guinness dei primati, è il più vasto sito religioso al mondo. 

La prima costruzione del tempio iniziò nella prima metà del XII secolo, durante il regno di Suryavarman II (1113-1150 circa), e fu dedicato a Vishnu. Non sono state trovate iscrizioni del periodo della fondazione, per cui il nome originale è oggi sconosciuto. È situato a 5,5 km a nord dell’odierna città di Siem Reap, e a sud-est della capitale precedente, che era a Baphuon. Sembra che alla morte del re i lavori si siano fermati, e alcuni bassorilievi siano rimasti incompiuti. Nel 1177 Angkor fu saccheggiata dai Cham, tradizionali nemici dei Khmer. L’impero fu rifondato dal un nuovo re, Jayavarman VII, che stabilì la nuova capitale e il tempio dello stato rispettivamente a Angkor Thom e a Bayon, pochi chilometri a nord. 

Nel XIV o XV secolo il tempio fu convertito al Buddhismo Theravada, e tale è rimasto fino ai nostri giorni. Angkor Wat si differenzia dagli altri templi di Angkor perché non è mai stato del tutto abbandonato, e inoltre il fossato esterno lo ha in un certo qual modo protetto dall’avanzare della giungla. Fino al XVI secolo il tempio era conosciuto come ‘Preah Pisnulok’, dal nome dato a Suryavarman dopo la sua morte. In questo periodo prese il suo nome moderno, che significa “Città Tempio”. ‘Angkor’ è la forma dialettale della parola che deriva dal sanscrito “nagara” (capitale), mentre wat è il termine Khmer per tempio. 

Uno dei primi visitatori occidentali del tempio fu Antonio da Magdalena, un monaco portoghese che lo visitò nel 1586 e affermò che “è una costruzione così straordinaria che è impossibile da descrivere con una penna, poiché non c’è un edificio simile al mondo. Ha delle torri e delle decorazioni e quanto di più raffinato che il genio umano possa immaginare.” Tuttavia il tempio divenne popolare in Occidente solo alla metà del XIX secolo, dopo che Henri Mouhot pubblicò le sue note di viaggio. L’esploratore francese scrisse: « Uno di questi templi (un rivale per quello di Salomone, ed eretto da qualche antico Michelangelo) potrebbe avere un posto d’onore accanto ai nostri edifici più belli. È più grandioso di qualsiasi cosa ci abbiano lasciato i greci o i romani, e contrasta tristemente con la situazione selvaggia in cui versa ora la nazione. » 

Mouhot, come altri visitatori occidentali, non credette che i Khmer avessero potuto costruire il tempio, e ne sbagliò la datazione giudicando che fosse contemporaneo ai romani. La vera storia di Angkor Wat fu messa insieme solo dopo lunghi studi stilistici ed epigrafici che furono portati avanti con la sistemazione e il restauro dei siti dell’intera area di Angkor. 

Angkor Wat richiese un notevole lavoro di restauro durante il XX secolo, in particolare la rimozione della terra e della vegetazione. I lavori furono interrotti durante la guerra civile e sotto il controllo dei Khmer rossi negli anni ’70 e ’80, anche se subirono relativamente pochi danni durante questo periodo, ad eccezione dei furti. 

Il tempio è diventato il simbolo della Cambogia, e i cambogiani ne sono molto orgogliosi. Una rappresentazione di Angkor Wat è stata messa nella bandiera nazionale della Cambogia fin dalla sua creazione (nel 1863 circa). 

Angkor Wat è il principale esempio dello stile classico dell’architettura Khmer, da cui ha preso il nome lo “stile Angkor Wat”. Durante il XII secolo gli architetti Khmer divennero più abili rispetto ai predecessori nell’uso della pietra arenaria (al posto dei mattoni) come materiale principale per la costruzione di edifici. Altri templi in questo stile sono Banteay Samré, Thommanon, Chao Say Tevoda e i primi templi di Preah Pithu ad Angkor; fuori Angkor, Beng Mealea e parte di Phanom Rung e Phimai. Lo stile Angkor Wat fu seguito dal periodo cosiddetto Bayon, in cui alla qualità si preferì la quantità. 

Angkor Wat è stato elogiato soprattutto per l’armonia del suo progetto, che è stato paragonato all’architettura degli antichi greci e romani. Secondo Maurice Glaize, un sovrintendente di Angkor della metà del XX secolo, il tempio “raggiunge una perfezione classica mediante una moderata monumentalità dei suoi elementi più belli e la collocazione precisa delle sue proporzioni. È un’opera di potenza, unità e stile”. 

Gli elementi architettonici che lo caratterizzano comprendono: torri ogivali a forma di bocciolo di loto, semi-gallerie per ampliare i corridoi, terrazze cruciformi che appaiono lungo l’asse principale del tempio. La maggior parte delle aree visibili sono di blocchi di pietra arenaria, mentre la laterite fu usata per il muro esterno e per le parti strutturali nascoste. Il legante usato per tenere insieme i blocchi non è stato ancora identificato, ma si pensa a delle resine naturali o alla calce spenta. Altri elementi del progetto sono stati persi a causa dei saccheggi e del tempo, inclusi gli stucchi dorati sulle torri, la doratura di alcune figure nei bassorilievi, i pannelli in legno dei soffitti e le porte. I tipici elementi decorativi sono devata (o apsara), bassorilievi, e l’uso esteso di scene narrative e floreali sui frontoni. La statuaria è abbastanza statica e meno gradevole dei periodi precedenti. 

Angkor Wat è anche una delle ambientazioni di Illusion of Gaia, di Tekken e di Tomb Raider: The Last Revelation. In Eternal Darkness: Sanity’s Requiem, un’ ambientazione visitata più volte dal giocatore è un tempio in Cambogia nella regione di Angkor, avente uno stile molto simile a quello dell’Angkor Wat reale. 

Fonti: Rosso Pompeiano forum, Wikipedia e towerbridge.org.uk / allhallowsbythetower.org.uk

Seth e Horus

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 Seth (anche Sutekh, Setesh o Set) è il dio del caos nella mitologia egizia, secondo la teogonia menphita sviluppata nel periodo tardo. Viene, di norma, raffigurato come un uomo con testa di animale, talvolta identificato con lo sciacallo o con la capra, più generalmente indicato semplicemente come “animale di Seth”; nelle raffigurazioni più antiche è invece raffigurato come animale. 

Figlio di Geb, la terra (principio maschile) e Nut, il cielo (principio femminile), fratello di Osiride, Iside e Nefti (di cui era anche lo sposo), per gelosia organizzò una congiura mortale nei confronti del fratello Osiride che sarà poi vendicato dal figlio di quest’ultimo, Horo. 

In origine Seth è una delle maggiori divinità dell’Alto Egitto del Periodo Predinastico, con la funzione di benigna divinità dei morti. La sua importanza diminuisce quando i re dell’Alto Egitto unificano le Due Terre ed impongono il loro dio, Horo, come divinità principale. Comunque per tutto il Regno Antico Seth mantiene una certa importanza e sul finire della II dinastia sostituisce il rivale nella titolatura reale (Peribsen), oppure si affianca ad Horo (Khasekhemwy). 

Durante il periodo hyksos Seth verrà prescelto quale Dio dinastico ed associato alla divinità hurrita della tempesta Teshup. 

Durante la XIX dinastia il nome di Seth torna a comparire nelle titolature reali come nomen (Seti I e Seti II). In questo periodo veniva raffigurato a prua dell’imbarcazione notturna di Ra, impegnata nella cattura del mostro serpente. 

È stato la maggiore divinità degli Hyksos, come pure il protettore dei sovrani condottieri Ramessidi, divenendo infine la divinità dei paesi stranieri e quindi un dio ostile. 

Seth è il Signore del deserto, adorato dai carovanieri che si spostavano tra un’oasi e l’altra. Seth è una divinità a tutti gli effetti, di pari potere agli altri e che merita adorazione per la sua possanza. Assolve, inoltre, anche compiti fondamentali: è il dio della guerra e della forza bruta, che insegna ad asservire nella lotta violenta per vincere in battaglia e trovare l’onore. 

Seth è anche detto l’Ombita dalla città di Ombos sede originaria del suo culto. 

Horus, che significa probabilmente “Il lontano”, è una divinità celeste egizia che ha la sua ipostasi nel falco. 

Horus è la forma latina del nome egizio Hr la cui lettura è Heru è il dio del cielo di Edfu 

Il culto di Horus è attestato dal periodo predinastico fino all’epoca romana quando il suo culto viene unito a quello della madre Iside.
In epoca predinastica si ebbero, con molta probabilità, diverse divinità falco. La più importante delle quali era il dio-falco venerato nell’Alto Egitto.
Quando i sovrani del Basso Egitto unificano le Due Terre, Horus assume il carattere di Unificatore dell’Alto e Basso Egitto.
Il sovrano egizio è considerato la personificazione di Horus, ossia l’Horo vivente; la prima tra le molte titolature che identificano un sovrano dell’Egitto è il serekht ossia il nome-Horo caratterizzato appunto dal falco. 

In alcuni miti, Horo è considerato figlio della dea-vacca Hathor, il cui nome significa letteralmente casa di Horo.
Il mito però maggiormente famoso è quello che lo vuole figlio di Osiride ed Iside e vendicatore del padre nei confronti di Seth, il quale gli tolse un occhio durante lo scontro.
Durante il lungo periodo della civiltà egizia l’Horo di Hierakonpolis assorbe, con un meccanismo di sincretismo, svariate altre divinità locali aventi caratteristiche simili che infine divennero aspetti diversi di una sola figura. 

Le forme sincretiche più comuni erano:Harakhti, Hornedjitef, Harsiesi, Harmakhis, Haroeris, Harpocrates, Harsomtus e Hurum ma ve ne sono anche con gli dei solari Ra, Atum e Aton di cui la più conosciuta è quella di Ra-Harakhti. 

I figli di Horo sono quattro divinità protettrici dei vasi canopi, i contenitori delle viscere nel processo di mummificazione. 

Presso i Greci e i Romani fu noto con il nome di Arpocrate e rappresentato come un bambino con un dito in bocca, gesto interpretato come un invito al silenzio. 

Dall’etimologia del nome e dal suo aspetto di uccello, si deduce che Horo fosse una divinità del cielo: i suoi occhi simboleggiano luna e sole, il cui viaggio nel cielo è dovuto al volo di Horo. Inoltre il mito dello scontro tra Horo e Seth spiega la minore luminosità della luna rispetto al sole col fatto che l’occhio lunare sarebbe quello staccato da Seth in combattimento e in seguito riposizionato dal dio della magia Toth. 

Fonte: Wikipedia

Il palazzo di Cleopatra

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Attenzione: attualmente sembra che gli scavi siano stati abbandonati in quanto la situazione politica in Egitto non è stabile (N.d.Talos) 

Il palazzo della Regina Cleopatra, situato sotto l’acqua del porto orientale di Alessandria, sarà esplorato per rivelare i misteri della vita della famosa regina. Questo progetto impegnativo ed emozionante dovrebbe permettere di scoprire i tesori nascosti nel luogo che vide sbocciare la storia d’amore di Cleopatra con il generale Marco Antonio e restituire il palazzo alla sua storica gloria senza tempo. 

Ci sono state già numerose scoperte da quando il progetto è iniziato. È stato trovato un tunnel sotterraneo lungo 120 metri, con numerose stanze, e anche monete d’oro con l’effigie della regina Cleopatra nelle acque che circondano il suo tempio. Queste scoperte hanno portato Zahi Hawass, Segretario Generale del Supremo Consiglio delle Antichità dell’Egitto, e altriarcheologi a credere che il progetto porterà alla scoperta delle tombe di Cleopatra e Marco Antonio. L’ipotesi che le due figure storiche siano nascoste in questo palazzo è basata sulla forte convinzione che i due fossero stati sepolti nel tempo di Tabusiris Magna, che gli archeologi credono sia l’edificio coperto dalle acque in questa area del porto. 

Fonte: Rosso Pompeiano forum

Complesso della Sfinge

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 La sfinge è una figura mitologica appartenente tanto alla mitologia greca quanto alla mitologia egizia. Viene raffigurata come un mostro con il corpo di un leone o (cane) e la testa umana (androsfinge), di falco (ieracosfinge) o di capra (criosfinge). 

Il suo nome deriva dal termine in greco antico che nella coscienza linguistica dei Greci viene messo in relazione col verbo “strangolare” e quindi col senso di strangolatrice. Tuttavia è possibile avanzare l’ipotesi che il termine sia un adattamento fonetico dell’antico egiziano. 

La sfinge nella mitologia egizia è un monumento che veniva costruito vicino alle piramidi dei faraoni dagli schiavi egizi come simbolo protettivo per augurare una serena vita nell’ aldilà. Aveva il corpo di un cane (o leone) e la testa che, si crede, raffigurava il faraone. Le più famose sfingi sono quelle costruite vicino alle piramidi dei faraoni Cheope, Chefren e Micerino a Giza, vicino al Cairo. 

Nella mitologia greca, la Sfinge, raffigurata con le ali e con la testa di donna, fu mandata da Era per punire la città di Tebe. Insediatasi sopra una rupe del monte Citerone, poneva un indovinello a chi passava, divorando coloro che non riuscivano a risolverlo. 

L’indovinello, consistente nell’individuare quale fosse l’animale che al mattino cammina su quattro zampe, a mezzogiorno su due e alla sera su tre, fu risolto da Edipo: si trattava dell’uomo che quando è bambino, ossia durante il mattino della vita, cammina carponi su quattro zampe; quando è adulto, ossia durante il mezzogiorno della vita, cammina su due piedi; da vecchio, ossia durante la sera della vita, cammina su tre piedi aiutandosi con il bastone. Sconfitta, la Sfinge si dette la morte gettandosi da una rupe (anche se, secondo altre versioni della leggenda, ad ucciderla sarebbe stato lo stesso Edipo). 

Si ritiene che la sfinge greca non sia derivata da quella egizia, ma appartenga ad un indipendente sostrato mitologico di area mesopotamica. 

Al Museo Archeologico Nazionale di Napoli è custodito un cratere apulo che si ritiene illustri un altro mito (a noi non pervenuto) avente la Sfinge come protagonista: un sileno che porge al mostro un uccello chiuso nel palmo della sua mano. L’analogia con una favola di Esopo (la n. 55, in cui un contadino, per dimostrare l’onniscienza dell’oracolo di Delfi, si reca presso di lui con un passero in mano, e gli chiede se ha con sè una cosa vivente o non vivente, pronto ad uccidere l’uccellino nel caso la risposta sia la prima) ha fatto pensare che il sileno stia sottoponendo la sfinge ad un enigma, cosa che rovescerebbe il mito di Edipo; ma i due potrebbero anche essere intenti ad una gara pacifica, antecedente all’episodio edipeo. Si è anche supposto che la figurazione possa essere collegata al dramma satiresco di Eschilo La Sfinge, ma la sua interpretazione è ancora controversa. In ogni caso il cratere testimonia la diffusione del mito della Sfinge nell’area greco-italica. 

La Sfinge di Giza e la Stele del Sogno 

Guardia alla piramide di Chefren, la Sfinge è la più antica scultura monumentale d’Egitto. Gli archeologi la collocano intorno al 2500 a.c. l’ ne attribuiscono l’ispirazione di Chefren. È alta 20 m e ha il corpo allungato, le zampe protese e un copricapo reale. 
Fu scolpita in un affioramento di roccia naturale sulla lui base furono aggiunti alcuni blocchi di pietra in occasione delle numerose ristrutturazioni, a partire dalla XVIII dinastia. 

Sono tanti i racconti sul naso della Sfinge di Giza, secondo le quali la sua distruzione avvenne o per un colpo sparato da un mamelucco, un ottomano o un francese. In realtà andò perso prima del XV secolo. 

In origine la Sfinge aveva anche una finta barba stilizzata, simbolo di regalità, ma anch’essa scomparve. Un pezzo di roccia prelevato dal luogo in cui essa sorgeva sulla sabbia oggi è conservato nel British Museum di Londra. 
Di fronte alla statua sorgono i resti del Tempio della Sfinge, attualmente chiuso al pubblico. L’area circostante la Sfinge è accessìbile dal tempio della Valle di Chefren, uno dei più antichi templi ancora esistenti in Egitto. 

Il tempio funge ora da piattaforma di osservazione per il pubblico in estasi davanti alla Sfinge, la favolosa creatura con corpo di leone e volto umano, nota ai primi arabi come Abu el-Hai, Padre del Terrore. Sebbene sia un soggetto anche troppo dibattuto – una teoria vuole che sia antecedente all’ epoca egizia, frutto di una civiltà molto più antica e scomparsa – gli archeologi concordano nel ritenere che la Sfinge sia stata scolpita durante il regno di Chefren. 

Si tratterebbe infatti di una raffigurazione emblematica del re, il cui corpo leonino costituirebbe l’archetipo della regalità e la testa regale, cinta dal nemes (copricapo portato dai soli faraoni), il potere. Intagliata in un unico sperone roccioso, tranne le zampe realizzate con blocchi di riporto, rappresenta il più antico esempio di scultura monumentale dell’antico Egitto. 

Alcune parti della creatura spiccano per il loro biancore, risultante dai lavori di restauro intrapresi negli anni ’90, anche se sono documentati lavori risalenti alla XVIII Dinastia, quando fu posta la stele che si erge tuttora fra le zampe anteriori, che descrive come il faraone Thutmosi IV liberò il monumento dalle sabbie che la ricoprivano. 

All’inizio degli anni venti dell’Ottocento l’egittologo francese Jean-François Champollion decifrò i geroglifici con la stele di Rosetta e riuscì a tradurre l’antica lingua egizia. Così la stele ritrovata ai piedi della Sfinge poté essere interpretata. Si scoprì che parlava di un antico scavo al monumento intrapreso dal faraone Thutmose IV del Nuovo Regno. La stele è comunemente chiamata Stele del Sogno, in quanto narra che la causa del restauro fu un sogno, fatto dal faraone mentre si riposava all’ombra della statua, in cui la Sfinge, chiamata Horemakhet (Horus all’Orizzonte) Kheperi-Re-Atum (il sole dell’alba, di mezzogiorno e del tramonto), gli si rivolge per donargli il suo regno sulla terra in cambio delle sue cure. La stele già all’epoca di Caviglia era già gravemente erosa, così che non fu possibile decifrare la parte finale completamente. Nella linea 13 però si riesce a leggere la prima sillaba Khaf di Khafre o Chefren, seguita poco più avanti dalla frase “la statua fatta per Atum-Horemakhet”. Dato che la stele sembrerebbe alludere ad un rapporto tra la Sfinge e l’antico farone Chefren, venne così ipotizzato da E. A. Wallis Budge, che la Sfinge fosse stata proprio costruita dal sovrano dell’Antico Regno 

Fonti: Rosso Pompeiano forum, Egittopercaso.net e Wikipedia