[Fan Fiction] L’intollerabile peso di un fiocco di neve : Capitolo 5

Cara Rikku, gli affari procedono magnificamente. Presto farò ritorno a casa. Spero che non ti senta troppo sola, principessina mia. Mi raccomando, fai la brava con Miriam, non fare i capricci, e ricordati di coprirti bene, altrimenti ti ammali! Ti voglio bene, Rin.

?Forse faremmo meglio a non dirgli nulla di ieri sera? dico, ripiegando la lettera sul bancone semicircolare. Seguo la figura di Miriam e la vedo annuire, con la mia stessa convinzione.

Niente febbre, niente malattia. Niente the obbrobrioso.

Solo un po? di instabilità mentale, tutto qua. Dopo la giornata della noncuranza, impazzire mi è sembrata la cosa più giusta da fare. Ma quel giorno è ormai passato, e quindi sono di nuovo io, a sfigurarmi il volto con un sorriso da imbecille. Ma cosa potrei fare altrimenti?

Piangere? E perché mai? Io sto benissimo.

Inzuppo un biscotto nel latte. Dopo vari tentativi ho scoperto che il latte non era avvelenato, come tutto quello che preparava Miriam. Forse era un po? troppo zuccherato. Ma niente veleno. Non so se sia un bene o un male.

Controllo la posta.

?Oh, ma guarda guarda, la gazzetta del moguri fluttuante, kupò? biascico, girandomi il giornale tra le mani e posandolo sul bancone. Non mi interessano le notizie, il mio latte caldo al cioccolato è sicuramente più interessante. Mi chiudo nel mio cardigan di lana verde, gonfiandomi come un chocobo in letargo, mentre mangiucchio dei biscottini.

Miriam prende il giornale con aria interessata, sorseggiando con posa da principessa un the mediocre, per cui ha sprecato una bustina di aroma al gelsomino. Spiacente cara, il the non è quello che meglio sai fare. Spero.

?Cosa dice il giornale??

Nessuna risposta.

?Hai freddo? Ti si è congelata la lingua?

Sì, in effetti fa freddo. Fa tanto freddo. Ma non è la lingua ad essersi congelata. È la sua espressione. Pallida, smorta, raggelata. Come un fiore appassito. Ovvio che quando parlo di fiori non mi riferisco alle rose, o altri fiori belli. Più dignitosi sono quelli piccoli e inutili, che crescono tra i rovi e nelle strade, che i bambini spesso raccolgono per farne mazzolini da regalare alle madri.

La fisso, astenendomi da ogni commento e domanda. Poi, piange. A piccoli, silenziosi singhiozzi. Due grosse lacrime le solcano le guance rosse, piene.

Sguscio dal mio sgabello e le vado dietro, ad accarezzarle i capelli. Ha il viso caldo, bollente.

?Hai la febbre, Miriam??

Nessuna risposta. La locandiera esplode, come avrebbe dovuto fare la teiera qualche giorno fa, come avrebbe dovuto fare il mio cuore quando Yuna lo ha trapassato, in un frastuono di singhiozzi e urla spezzate fatte di parole doloranti, che camminano da sole, indipendenti dalla sua voce. Respinge le mie braccia, non vuole essere toccata, come una bambina capricciosa. Tutto diventa un inquietante concerto, una pioggia di lacrime e carezze ripudiate.

La abbraccio, senza affetto o trasporto, appoggiando una guancia sui riccioli domati in malo modo in una lunga treccia bionda, e lei mi scappa dalle braccia, correndo nella sua stanza e coprendosi il volto come le mani, nell?inutile tentativo di frenare il pianto.

Io resto immobile, sul suo sgabello, delusa come una bambina che cercava di trattenere nella mani una farfalla. Sfoglio svogliatamente il giornale.

Tragedia sulla via Mihen, dice il titolo. Morti due ragazzi Albhed.

Nelle successive cinque ore non è uscita dalla sua stanza. È chiusa, galleggiante in un isola di silenzio quasi mortale. Resto seduta fuori la sua porta per lungo tempo, a scaldarmi le mani sfregando i pugni chiusi sulle gambe, sul petto, a trattenere un po? di calore nel gelo rarefatto sopra la mia testa.

Non ho molto a cui pensare, mi limito a stare in silenzio, a controllare il respiro, a guardare i muri che con tanta fantasia sono stati tinti di azzurro. Mi gratto la testa e i miei capelli sono stranamente più lunghi del solito. Che abbiano deciso di crescere?

Lunghe ciocche biondine mi accarezzano le spalle, così lisci e sottili da sembrare un velo delicato e inutile. Li trattengo con un elastico verde, e mi mangio le punte.

Ho preso quest?abitudine, quando fa freddo e tutto è silenzioso.

Miriam non emette fiato nella sua stanza. Decido di entrare. Per quel che accadrà, non credo possa esserci peggio di tutto ciò.

Mi appendo alla maniglia della porta e la piego lentamente, spezzando il silenzio. La sua stanza è in tutto identica alla mia, ma tutto sembra essere troppo in ordine, tutto è seppellito sotto uno strato di polvere e silenzio. I miei passi sono spine in quest?atmosfera.

E lì, sul suo letto, Miriam non piange. Sembra così piccola ed eterea, il letto non si piega sotto il suo peso. Si è annullata dal dolore. Quasi non respira.

Ogni fremito un singhiozzo.

Stretta in posizione fetale, nelle pieghe della sua lunga gonna, bianca come le lenzuola. Rivedo la sua lunga treccia bionda, abbandonata sul pavimento, come una fune inutilizzabile, troppo corta per essere usata per impiccarsi. I suoi capelli, i suoi bellissimi boccoli, ora divisi in mille onde sulla sua testolina riccioluta.

Prendo qualche passo verso il letto, arrivandone ai piedi. Lentamente. I miei passi non fanno rumore.

Sgattaiolo sul letto, silenziosa come un gatto, e mi sdraio dietro di lei, affondando il viso nella sua spalla. Lei non si muove, respira piano, senza voglia.

Le stringo un braccio, piano, delicatamente. La sua gonna crea uno struscio silenzioso, trasformando l?aria tetra, rarefatta, in un?atmosfera intima e delicata. Mi prende la mano, muovendosi appena. Le sue dita con difficoltà si stringono sulle mie. È fredda. Tanto fredda.

?Ti sono vicina? sussurro alla sua spalla. Lei freme, stringe gli occhi. Strizza anche le ultime lacrime da quegli occhi grandi, verdi, secchi. Non esce niente. Il suo viso è asciutto e appiccicoso.

Per un momento cerca di parlare, ma ha la voce impastata di silenzio e dolore.

?Non devi parlare se non ce la fai? le dico, per rassicurarla, ma Miriam si scuote piano, senza un suono. Poi, finalmente, la sua voce. Suona vagamente tetra, oscura, come una corda stonata.

Un suono lugubre e terribile. Ci mette qualche attimo per accordare la voce, per ritrovare stabilità tra le sue corde vocali.

?Si chiamava Andrej. Faceva il miliziano, lo incontrai la prima volta lì, dov?è morto. Stavamo programmando di sposarci. Mi spediva sempre lettere, mi diceva che stava mettendo da parte i soldi per il matrimonio, per vivere insieme??

Non rispondo, cerco di non piangere. Sono maledettamente sensibile e tremo come un fuscello, aggrappata alla spalla di Miriam, stretta nel suo dolore e nel mio abbraccio. Piega le gambe, un nuovo struscio ci culla nel silenzio, nel freddo. Abbiamo chiuso tutte le finestre, eppure fa tanto freddo. Un gelo che viene da dentro, e che non possiamo chiudere fuori, ad appoggiarsi ai vetri delle finestre.

?Tu avresti dato la vita per una nuova Spira, per un mondo che non si facesse continuamente la guerra, per una popolazione che non cadesse in questi errori?giusto??

Non rispondo, la stringo più forte, affondando il viso nel suo maglione azzurro.

?GIUSTO?!? urla lei, in un singulto.

??si? biascico io, scacciando i ricordi -e ogni tipo di pensiero. Sono stufa di questa drammaticità, di questo dolore. Ma chi ci fa soffrire non è ancora stufo.

Miriam si volta verso di me, un volto pallido e scarno, come se non mangiasse da giorni. Profonde, scure, occhiaie sotto i suoi occhi di un verde spento, scialbo. Triste, animato da una collera dolorosa.

?A cosa è servito? Dimmi a cosa è servito!?

Non mi trattengo, la spingo via, sgusciando dal letto e ricadendo all?indietro tirandomi dietro la coperta, in un volteggiare di lenzuola smosse e singhiozzi. I miei e i suoi.

?Io l?ho fatto per Spira!?

?Tu avevi detto che avrebbe aiutato il nostro popolo!?

?Preferivi Sin?!?

Lei riflette, in silenzio, consumando le sue ultime lacrime.

?E? solo un Bonacciale, come tanti. Come tutti quelli che sono stati?siamo destinati ad essere respinti e odiati per sempre, è inutile sperare??

Ho odiato me stessa. Il mio ruolo, e il mio passato. Mi asciugo gli occhi, e mi arrampico di nuovo sul letto, sedendomi davanti a lei. È sfigurata, i capelli ondeggiano malamente sulla fronte, gli occhi spenti, le guance segnate dalle lacrime, il viso piegato in una smorfia di dolore e di rabbia.

Le sorrido. Non so con qualche forza, ma le sorrido.

?Hai ragione, è inutile sperare. Non abbiamo nessuno cui affidarci. Ma possiamo farlo noi. Io ho fatto la mia parte, sono andata a combattere Sin. Niente è troppo difficile, Miriam, io sono ancora qui. Vedrai che presto ci accetteranno, anche se siamo diversi, perché non avrebbe più senso mandarci via!?

?Allora se la prenderanno con qualcun altro?il mondo non sarà mai come lo abbiamo desiderato?? piange lei, abbracciandomi. Le accarezzo quello che resta della sua lunga chioma lunga, sfiorando quei ricciolini biondi che arrivavano appena dietro il collo.

E? usanza Albhed tagliarsi i capelli per lutto.

Che usanza stupida, penso, guardando la treccia abbandonata in terra, tranciata con un colpo netto di forbici. Ancora intrecciati, quei capelli non sembrano avere più alcun valore estetico.

Le accarezzo la schiena scossa da forti fremiti, abbandonandomi anche io a poche lacrimucce da bambina, che tanto nessuno ha mai asciugato.

È colpa del mondo se sono, nel profondo, una frignona.

Forse è vero. La pace non appartiene a questo mondo.

Appena l?ho vista addormentarsi, l?ho infilata sotto le coperte e sono uscita con passo felpato in corridoio. Ho chiuso la porta.

Cosa posso fare? E se viene il mostro della vanità? Se sbaglia stanza e porta via Miriam? No aspetta, i mostri non sbagliano mai? o forse sì? Non posso permettermi una cosa del genere, maledizione!

Confusa e insicura, mi siedo sul pavimento, abbracciandomi le gambe per trattenere quanto più calore possibile.

Pazienza se non avrei fatto assolutamente niente per un po?. Magari avrei potuto persino rilassare la mia mente con pensierini felici.

Sono questi i momenti che apprezzo della mia vita. Scervellarsi per trovare qualcosa di cui sorridere, una qualunque cosa che mi possa distrarre dai pensieri cattivi.

Dovrei chiedere a Rin di comprarmi uno acchiappasogni. Di quelli con sonagli, piume e pietre luccicanti. E magari me lo appendo al collo. Spero serva anche ad allontanare i ricordi e le cattive e ricorrenti intenzioni. Di cosa poi?

Sembra tutto insensato.

Ieri sera, mentre morivo sul tappeto e consumavo con pochi inutili sogni la mia giornata della noncuranza, due ragazzi Albhed sono stati uccisi. Due amici che attraversavano la via Mihen cantando un inno Albhed. È stato un matto, un fedele impazzito dopo la caduta di Yevon. Tre coltellate ognuno.

C?è posto per tutti in questo mondo.

No, non sono queste le cose che dovrei pensare. Dove sono i fiorellini? Dove sono i chocobo? In tutte le cose belle, c?entrano i chocobo.

Stendo le gambe, poggiando la schiena contro il muro. Le dure parole di Miriam mi rimbombano nella testa, punzecchiandomi come mille spilli.

Quei due ragazzi avevano una famiglia. Quante ragazze stanno piangendo ora? Quante hanno perso un amore, un fratello, un figlio, ieri notte?

Quante persone stanno ancora piangendo un lutto per la mano crudele di Yevon?

Sospiro piano, i miei respiri fanno rumore nel silenzio di Macalania. Potrei svegliare Miriam, che riposa nella sua stanza, immersa in una quiete apparente. E forse sogna. Sogna un mondo idillico e meraviglioso, quello che tutti, Albhed e non, desidererebbero.

Sogna il suo Andrej, sogna di sposarlo. E di vivere con lui a Kilika, in riva al mare, in una capanna grande solo per loro due.

Certi desideri sono troppo distanti, troppo irrealizzabili. A volte non si osa nemmeno sognare. Anche gli Albhed, che di natura sono sognatori.

Sospiro di nuovo.

Yevon crea danni, anche quando non c?è.

L?albergo è troppo silenzioso, dei clienti non c?è nemmeno l?ombra. Mi sono addormentata, lì, seduta per terra, forse per la stanchezza, forse perché lo volevo davvero, perché svegliandomi avrei pensato, anche se per poco, che tutto fosse stato un incubo.

Mi sono svegliata solo a pomeriggio inoltrato. Non che facesse molta differenza con il resto della giornata.

Fuori non nevica, né tira un vento eccessivamente forte. Il clima ideale per fare una bella passeggiata.

Vado nella mia stanza, mi infilo un paio di pantaloni -i più caldi che ho- e una maglia bianca, pulita, sotto il maglione. Passo nella reception, prendo dall?appendiabiti il cappotto, un cappello nero di lana e una sciarpa sottile.

Così protetta, esco. Nel freddo e nel gelo, con le mani ficcate nelle tasche del cappotto, il vento infuria. Mi trattengo il capello sulla testa e cammino pesantemente nella neve ghiacciata. Una chiazza rossa sommersa di neve mi saluta in quell?angolo di gelo.

Sollevo il vecchio lenzuolo. Curioso che Miriam non si sia mai accorta della sua mancanza.

Forse non le piaceva molto.

Auron è rimasto sommerso nella neve, la sua sagoma è ancora facilmente distinguibile, neve tra la neve. Gli faccio una carezza sulla cicatrice, ormai un leggero solco sulla neve, sussurrandogli parole di conforto, per scaldargli il cuore sotto la neve.

?Tranquillo, quando Miriam starà meglio ti porterò a casa con me. È una promessa? dico alla neve, a lui, abbracciandolo. E lui sparisce, facendomi ritrovare con un blocco di neve tra le braccia.

È timido. È tanto timido.

Proseguo verso il lago, a passi piccoli e leggeri, sperando che il ghiaccio non si rompa sotto i miei stessi piedi -e sarebbe un bel pasticcio- mentre cammino. Evito accuratamente il baratro, continuando a camminarci ad una certa distanza. Non si sa mai, potrei stupidamente scivolare: non sono mai stata una brava equilibrista, potrei inciampare sulle formiche se volessi.

Attraverso una lunga strada lastricata di ghiaccio e neve ed eccomi arrivata. L?entrata del tempio. Un lungo e stretto cunicolo porta all?entrata principale.

Un soffio di vento sospira pietoso tra queste rovine senza vita.

Macalania è un buco ghiacciato completamente disabitato. Un tempo c?erano gli invocatori, i sacerdoti. Ma per quanto ci resteranno ancora, dopo la sconfitta di Sin?

Sono rimasta io. Io e i ghiaccioli appesi alle rocce. Sola, come al solito.

Sembrano passati secoli dall?ultima volta. Ho perso il conto dei giorni che ho passato da Rin.

Sono passati anni, millenni. E io sono ancora qui.

Vorrei solo essere consolata, sto perdendo il cervello. Vorrei qualcuno che mi accarezzi la testa e asciughi le mie lacrime piagnucolose, come quando ero piccola.

Certe persone -io- non dovrebbero mai crescere. Crescono solo in altezza -si fa per dire- ma dentro restano bambini. E devono essere consolati, accuditi, amati. Anche quando non c?è più nessuno.

Ho attraversato il maledetto cunicolo sospeso in aria. Mi chiedo come abbiano fatto a costruirlo. Che sia un percorso naturale? La natura è padrona qui a Macalania, la forza del gelo può fare qualunque cosa.

Busso trepidante alla porta del tempio, non mi aspetto che qualcuno venga ad aprire. È una piccola e patetica speranza di compagnia.

Chi è come me non si arrende mai alla solitudine. Potrei morire su queste scale se nessuno verrà ad aprire questa porta.

Busso, con più insistenza, tremando e tossendo, mentre il mio respiro si condensa tutt?intorno a me.

Niente. Nemmeno uno spasimo.

Busso ancora, rompendomi le nocche ghiacciate sul portone. Più busso, e più il mio gesto è inutile. Le porte sbattono, le stalattiti sopra di me tremano pericolose. Non c?è anima che voglia accogliermi. Che abbia il coraggio di perdersi nelle maledette spirali nei miei occhi.

Spaventano tutti. Spaventano anche me.

Mi siedo sui gradini di ghiaccio delle scale e aspetto, avvolgendomi nel cappotto. Aspetto che qualcuno mi venga a prendere. O come minimo, mi trovi morta assiderata sulle porte del tempio. Cosa penseranno di me?

Non c?è nessuno. Ci sei solo tu.

Allora morirò in questo posto. Nessuno verrà a salvarmi. Io non voglio essere salvata.

Ormai sfumano i contorni della realtà, e tutto diventa contraddittorio.

Io non sono Raperonzolo.

Chiudo gli occhi. Mi sto addormentando, o sto per morire, non importa. Non c?è differenza.

Forse l?incubo sparirà.

Sogno. Il carissimo cervello mi mostra delle immagini confuse e senza senso. Ma stavolta il pellegrinaggio è assente dai miei pensieri.

C?è la mamma. Mi tiene in braccio, canticchiando una melodia albhed. Mi accarezza la fronte.

In fondo, c?è Miriam.

Me n?ero dimenticata.

Tutto scompare. La mamma, Miriam, persino io. Non c?è nessuno.

Poi compare lui. Questo sogno sta lentamente diventando un incubo. Auron mi guarda con cipiglio severo, come se fosse sul punto di prendermi a schiaffi.

Ti sei dimenticata di lei. Tu non sei sola, stupida mocciosa, biascica minaccioso, con la voce tra i denti.

Il sogno svanisce. Ora mi sembra di capire perché l?amato cervello non mi ha mai permesso di sognare. Ci sono troppe cose che non capisco. Però c?era qualcosa che aveva bisogno di dirmi.

C?è sempre un motivo per parlare col proprio cervello.

C?è sempre un modo per impazzire.

Arrancando e scivolando nella neve, cerco di correre il più velocemente possibile a casa. Sono infreddolita, bagnata da capo a piedi, i muscoli addormentati nella neve che mi dolgono quando mi muovo. Le gambe sono troppo deboli, devo reggermi agli arbusti e alle rocce per camminare e non cadere nella neve.

Cadere significherebbe non rialzarsi più. Non ho l?energia per fare sforzi troppo grandi, in questo momento.

La figura dell?albergo tra la neve è una ventata di ottimismo, mi fa sentire vicina alla meta. Mi sento bene. Sono stanca, bagnata, sto morendo, ma sto bene.

It?s okay. No problem.

Devo smetterla di dire che tutto va bene. Devo imparare a vedere le cose anche nel loro lato peggiore, per accettarle.

Auron, dimmi un?altra volta che sono una mocciosa e ti faccio ingoiare gli occhiali.

Sì, sono una bambina. Sono capricciosa e antipatica, urlo e saltello, e infastidisco le persone. E in più, frigno e piagnucolo come un budino di ghiaccio sotto il sole.

Dovrei cambiare.

I budini di ghiaccio sono creaturine fastidiose.

Miriam è sola da un po?. Spero che si senta meglio adesso.

L?hai lasciata sola. Sei un essere spregevole.

Perché l?hanno ucciso? Perché era ancora in giro di notte? Perché succede?

Rin non è ancora tornato. Se mi porta un altro peluche, lo lego ad un chocobo e gli faccio fare tutto il giro della Piana della Bonaccia. Così impara a lasciarmi sola.

La solitudine porta alla follia.

Voglio tenermi stretta il mio cervello inutile. Non pensavo di averne così bisogno.

Apro la porta di casa con un cigolio, mentre un soffio di vento entra viscido alle mie spalle, infilandosi in ogni angolo dell?albergo. Con fatica, riesco a chiudere la porta, schiacciandola con tutto il mio peso.

Sono dimagrita. Sono pelle e ossa.

Mi sfilo il cappotto nero dalle spalle, lasciandolo cadere a terra, e con la stessa accortezza butto a terra il mio berretto e la sciarpa marrone. Un sospiro di sollievo. Un ambiente caldo, sicuro, tranquillo, come un soffio di Bikanel dentro il mio cuore.

Finalmente a casa.

I miei scarponi strisciano gommosi sul pavimento, lasciando impronte bagnate di neve e di terra. Accendo la stufa nell?angolo, gettando nella fornace qualche ramo secco e spezzato. Un fiammifero acceso, e tutto prende fuoco.

Sorrido, alla fiamme scoppiettanti. È così bello vedere un colore così acceso, così forte. Così rosso. Il freddo non lo spegnerà, i miei occhi si beano di questa visione paradisiaca. Avvicino le mani alla griglia rovente e frego le dita tra di loro.

Appena mi sento un po? meno congelata, mi siedo sul tappeto di orso polare e mi tolgo gli scarponi bagnati. Devo pulire prima che Miriam si svegli, altrimenti mi riempirà di botte. Ho combinato un bel casino.

Brava Rikku.

Raccatto i miei indumenti, mettendoli in una cesta per il bucato. Prima li laverò poi, appena la tempesta di neve si calmerà, li stenderò fuori. Mamma sarebbe fiera di me. Sono una brava donna di casa. La maturità dei miei quindici anni è dedita solo alla cura della casa. Farei invidia a qualunque casalinga di professione.

Esisto per sporcare i vostri lucidissimi pavimenti e saltare sui vostri letti appena fatti.

Sono il vostro terrore.

È notte ormai. Miriam non è ancora uscita dalla sua stanza. Forse dovrei controllare se sta bene.

Ma certo che sta bene!

Busso piano alla porta della sua stanza. Non un suono dall?altra parte.

?Miriam? Sono io, Rikku. Come ti senti? Si è fatto tardi, hai fame? Se vuoi cucino qualcosa??

Bugiarda. Io non so cucinare. In questo caso potrei anche provare, non deve essere così difficile se lo fanno tutti.

?Miriam??

Busso di nuovo. Niente.

Apro la porta.

La stanza è perfettamente in ordine, i mobili sono puliti e immobili come se nessuno li utilizzasse da anni. Il letto è ordinato, le lenzuola stese, senza una piegatura.

Ma dov?è Miriam?

Cerco in tutte le stanze dell?albergo, nei bagni, negli angoli. Negli specchi e negli armadi. Miriam non c?è. È sparita, come polvere, come cenere, come niente.

Semplicemente, non c?è. E mi chiedo se ci sia mai stata. Se i suoi riccioli biondi siano mai esistiti, se le sue lacrime addolorate siano mai state asciugate. Se i suoi sogni abbiano avuto anche una sola possibilità di avverarsi.

La casa non parla, disconosce il mio ricordo. Miriam non c?è.

Assente.

In quel momento realizzo. Non c?è Miriam. La casa è vuota. E io sono sola. Sola con le pareti, con il vento, con il ghiaccio, con la neve che si accumula sui davanzali.

Sono sola.

La rivelazione mi prende drammaticamente alla sprovvista e non so come muovermi, come agire. Non so più cosa fare. Sono sola, in una casa grande. Senza nessuno.

Stringo i pugni, trattenendo le lacrime che ormai già mi inondano gli occhi.

Se ne sono andati tutti.

Grido.

Grido; con quanta forza ho in corpo.

Grido; con tutta la voce che mi resta in gola.

Grido; fino a prosciugarmi le membra.

Grido. Ma nessuno mi sente.

Come potrebbe esserci il rumore se non c?è nessuno a sentirlo?

Auron, brutto bastardo, mi hai mentito. Avevi detto che non ero sola. Vedi qualcuno intorno a me? Io non vedo niente, io non vedo nessuno.

Odio tutti quelli che se ne sono andati. Odio la mamma, che non mi ha mai vista crescere e che non c?era quando avevo bisogno di lei. Odio Tidus, che non sapeva di non essere umano e io gli volevo bene come un fratello e volevo organizzargli un matrimonio bellissimo con Yuna. Odio Rin, perché non è tornato. Odio anche Miriam, perché semplicemente non c?è.

E odio te. Che mi hai mentito, che mi hai lasciato nella torre e sei morto prima di venire a salvarmi.

E odio tutti, perché nessuno mi ha detto che i capelli corti non servono a nulla.


Vai a ‘Seleziona Capitolo’